Falde inquinate, acqua a rischio:
la carenza di pioggia scatena il problema

Mercoledì 27 Febbraio 2019
Falde inquinate, acqua a rischio: la carenza di pioggia scatena il problema
PORDENONE - Non c'entrano Aviano, l'emergenza in Pedemontana, l'indagine della Procura di Pordenone. Sono problemi diversi: l'uno derivante dalle condizioni attuali del serbatoio di Barcis, l'altro da una situazione che si protrae da tempo, ma che nelle ultime settimane si è aggravata. Anche a causa della quasi totale assenza di piogge negli ultimi mesi, tornano a fare paura i metaboliti dell'atrazina, e a tremare sono le utenze private non connesse agli acquedotti.

LA CRISI Punto primo, l'acqua che scorre nelle tubazioni che si diramano dagli acquedotti non è contaminata. Gli ultimi interventi messi in campo, consistiti nell'installazione di filtri al carbone attivo, hanno tamponato il problema. Punto secondo, ci sono migliaia di cittadini che vivono in centinaia di condomini e case private non allacciati ad alcun acquedotto. E la chiusura delle 25 fontane pordenonesi la cui acqua è stata giudicata non potabile a valle di analisi approfondite ha fatto scattare l'allarme: tanti condomini (in città sono decine, in provincia centinaia) non pescano dagli acquedotti e si riforniscono direttamente dai pozzi artesiani. Lo stesso fanno le fontane, sigillate dal Comune dopo la certezza che la loro acqua conteneva prodotti diserbanti potenzialmente dannosi per la salute. La miccia che ha fatto riesplodere il caso è stata la siccità: «Mancano le piogge - ha spiegato infatti l'assessore pordenonese all'Ambiente, Stefania Boltin -, che servono a diluire l'acqua di falda. Per questo motivo le fontane sono state chiuse e il problema può ripercuotersi anche sulle utenze private non collegate all'acquedotto».

IL QUADRO L'allacciamento all'acquedotto e alla rete pubblica non è obbligatorio. Le amministrazioni spingono da tempo per aumentare la quota di utenze agganciate alle tubazioni comuni, ma non possono fare altro. Il problema della maggior parte dei pozzi artesiani, almeno in città, è invece la profondità: «In molti casi - spiegano dal Dipartimento prevenzione dell'Azienda sanitaria - si tratta di pozzi da 25-30 metri, quindi potenzialmente non sicuri». La possibilità di rintracciare metaboliti dell'Atrazina come il Dact, diminuisce all'aumentare del pescaggio, ma la scarsità di piogge sta iniziando a mettere in crisi anche i pozzi più profondi dei già citati 30 metri. «Per questo voglio organizzare un incontro con gli amministratori dei condomini della città - ha spiegato ancora Stefania Boltin -: c'è bisogno di una grande opera di sensibilizzazione volta a garantire l'accesso all'acquedotto di più utenze. Il Comune purtroppo non ha nelle sue mani il controllo delle abitazioni private e dei condomini che pescano dai pozzi artesiani e con le falde non alimentate a dovere dalle precipitazioni in superficie il problema può sorgere ovunque».

LE NORME Per densità abitativa e risonanza, il problema più pressante è quello del capoluogo, dove i pozzi sono poco profondi.
Per sancire l'abitabilità di un appartamento o di un'abitazione serve un documento che certifichi la potabilità dell'acqua. Ma una volta ottenuta la certificazione, non c'è una norma che imponga a proprietari o amministratori di svolgere controlli periodici. In poche parole, tutto sta alla sensibilità del singolo responsabile. Non c'è controllo pubblico, e solo la solerzia di alcuni residenti ha permesso di far emergere situazioni al limite. Oggi l'allarme suona nuovamente squillante tra i muri della città: la mancanza dell'acqua dal cielo mette a rischio migliaia di persone, la maggior parte delle quali non sa nemmeno di essere potenzialmente in pericolo. Marco Agrusti
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