«Beveva acqua e fango, non abbiamo mai mollato», ecco come si è salvato l'escursionista Gianpaolo Baggio

Domenica 3 Luglio 2022 di Redazione
Gianpaolo Baggio
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UDINE - Bloccato da rocce a strapiombo e senza appigli, nascosto dalla vegetazione che almeno gli ha dato riparo dal sole cocente di questi giorni: Gianpaolo Baggio è sopravvissuto così, per una settimana, senza acqua né cibo sul versante settentrionale del Matajur.

Il trentunenne ingegnere di Torreano di Cividale è vivo, e deve la vita alla caparbietà con la quale il personale dei Vigili e del Fuoco e del Soccorso alpino lo hanno cercato, anche quando la razionalità diceva che non c’era più nulla da fare. Per sette giorni gli elicotteri e i droni hanno sorvolato un’area di circa un chilometro quadrato: Baggio doveva per forza essere lì, da qualche parte, sotto una vegetazione fitta.

Come è riuscito a sopravvivere?


Deve la vita, su tutti, alla testardaggine - chiamiamola pure così - di un carnico tutto d’un pezzo: si chiama Amadio Pittoni, è caposquadra dei Vigili del Fuoco e ROS, ovvero Responsabile delle Operazioni di Soccorso. Giovedì sera, al quinto giorno di ricerche, c’era chi gli consigliava di gettare la spugna, di non sprecare altre risorse, fatica e soldi per trovare qualcuno che non poteva più essere vivo. «Ma io avevo parlato con i famigliari di questo ragazzo - racconta adesso Pittoni, con la modestia tipica di un uomo di montagna - e mi avevano raccontato che è una persona forte, allenata, meticolosa, esperta della montagna, che la conosce e la rispetta. Uno che quando deve fare un’escursione la studia nei minimi particolari, si stampa le mappe e ragiona sui percorsi su internet. Uno così, mi sono detto, se ha avuto un problema sa come affrontarlo».
Il “problema”, si è scoperto ora, è stata una “scivolata” mentre scendeva lungo la ferrata. Una caduta di un paio di balzi, che miracolosamente non gli ha provocato fratture e ferite gravi, anche grazie al caschetto blu da alpinista che indossava sempre.

«Il guaio è - prosegue Pittoni - che nella caduta lo zaino gli si è sfilato ed è rotolato duecento metri più a valle, mentre il ragazzo si è infilato in un impluvio, un canale che si va a restringere e nel quale scivolano sassi, legname, fronde. È rimasto bloccato lì, non poteva né salire né scendere. La sua fortuna è stata che in questo impluvio l’acqua piovana ha formato una pozzanghera. Ha bevuto acqua e fango, ma si è salvato».
La svolta, nella giornata di venerdì. Gli uomini del Soccorso alpino e dei Vigili del Fuoco per l’ennesima volta, stremati ma non domi, hanno risalito e ridisceso l’area nella quale doveva per forza trovarsi Baggio. Ma niente, lo chiamavano e nessuno rispondeva. «Era svenuto - spiega Pittoni -; mi ha raccontato che ha “dormito molto”, in continuazione. In realtà perdeva i sensi a causa della disidratazione. Sentiva gli elicotteri, ma non aveva la forza di farsi vedere né ovviamente sentire».

Fino a quando, venerdì pomeriggio, si è scatenato un temporale dopo giorni di sole cocente. «C’erano 38 gradi, in molti dicevano di mollare, che non c’era più niente da fare - racconta Pittoni -. E quando è iniziato il temporale ho dovuto far rientrare gli uomini, perché la situazione era troppo pericolosa. Pensavano che saremmo andati via, che avremmo dichiarato concluse le ricerche. Ma ho pensato che se c’era una possibilità, era data proprio dal temporale. L’acqua può salvarti, può darti una speranza. “Ricominciamo domani mattina, da dove eravamo rimasti”, ho detto».



E così è stato. Ieri mattina, quando i soccorritori a piedi sono ritornati si punti abbandonati l’altro pomeriggio, avevano sopra di loro un elicottero dei Vigili del Fuoco. «Si chiama Drago 139 - spiega Pittoni - ha una parte del pavimento trasparente proprio per facilitare la ricerca nei soccorsi. A 50 metri dal suolo, le pale del rotore non muovono la vegetazione; ma a 35 metri sì. Il pilota si è abbassato ed è stato in quel momento che, in mezzo alla vegetazione lucida per la pioggia, che il verricellista ha visto un puntino blu. Era il caschetto del ragazzo».
I soccorritori a piedi erano a meno di 100 metri da lui, ma non avrebbero potuto vederlo né lui sarebbe stato in grado di farsi notare o di farsi sentire. «Il verricellista si è calato e lo ha raggiunto, poi ci ha chiamato via radio per dirci che si muoveva, che era vivo. Può immaginare la reazione al campo base». Nel giro di 20 minuti era al campo, sulle sue gambe. «Mi ha abbracciato forte, gli abbiamo dato un po’ d’acqua, a piccoli sorsi perché in quelle condizioni bisogna stare attenti, un po’ di cioccolata e delle proteine, poi l’abbiamo spedito in ospedale per controlli può approfonditi. Era stanco e confuso, ma stava bene».

Solo in quel momento, placata l’adrenalina, si è stabilito chi dovesse chiamare i famigliari, che erano stati tenuti lontani dal campo base. «È toccato al sindaco e al maresciallo di Pulfero, che in tutti questi giorni hanno tenuto i contatti aggiornandoli costantemente. Hanno chiamato i genitori a Gonars, mettendo il vivavoce per condividere con noi quel momento. Quando hanno risposto, si capiva dal tono che temevano brutte notizie: ma le urla subito dopo erano di felicità, stavolta». Amadio Pittoni e i suoi uomini non hanno mollato, e stavolta hanno vinto: «Spero che dopo questa vicenda la prossima volta nessuno mi dica più di “lasciare al destino” uno scomparso. Di fronte alla sorte di un essere umano non c’è fatica, non ci sono costi».

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Ultimo aggiornamento: 5 Luglio, 15:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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