Pronto soccorso: è allarme rosso. Letti parcheggiati in mezzo ai corridoi

Domenica 13 Novembre 2022 di Marco Agrusti
Pronto soccorso: è allarme rosso. Letti parcheggiati in mezzo ai corridoi
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Ci sono operatori che lavorano nei reparti di Pronto soccorso della regione da quarant’anni e che giurano di «non aver mai visto una cosa del genere». Accade ad esempio a Pordenone, l’ultimo reparto in regione ad essere scivolato in una situazione senza precedenti. Si era parlato tanto del Pronto soccorso di Trieste, c’era maretta tra gli anestesisti di Udine. Ora il caso esplode nella Destra Tagliamento. Cosa succede? Semplice, gli operatori sono sempre meno e negli ultimi giorni sono tornate le barelle nei corridoi.

Lato destro e lato sinistro, ci sono pazienti che aspettano una visita e poi eventualmente un ricovero. E che nel frattempo occupano le aree comuni del Pronto soccorso cittadino. Perché altre soluzioni non ce ne sono. 


LA SITUAZIONE
Dicono tutto i numeri. E da loro si deve partire. Il Pronto soccorso di Pordenone dovrebbe avere 24 addetti. Oggi ne ha solamente 17. Quattro persone se ne sono andate solo negli ultimi mesi. Ricambi zero, perché «i bandi - spiegano - sono andati tutti quanti deserti». E questo solo tra i medici. Tra gli infermieri la situazione è forse ancora peggiore. Ecco perché si è arrivati a «corridoi pieni di barelle». E basta il briefing che fanno i medici tutte le mattine per rendersi conto dell’ennesima notte fallimentare. Non perché manchino buona volontà e professionalità. Anzi, i turni sono massacranti e l’impegno è massimo. Ma gli accessi l’anno sono saliti a circa 50mila. E non si riescono letteralmente più a reggere. 


I RITMI
I pazienti parcheggiati in corridoio sono solo l’effetto di una crisi a cascata. Il Pronto soccorso è diventato nel tempo sia un centro per le analisi (esami che altrimenti in procedura normale richiedono settimane se non mesi) che un ambulatorio, visto che le visite dai medici di base sono più complicate di una volta. E con i numeri della riduzione del personale elencati in precedenza non si può fare di più. Ogni persona oggi prende più tempo agli operatori, perché la gestione è più complessa. Così le attese lievitano, come il nervosismo tra i pazienti. L’unica cosa che può garantire l’ospedale è il massimo impegno: «Nessun paziente viene lasciato solo». 


IN REGIONE
A Udine, come anticipato già diverse settimane fa, la fibrillazione riguarda l’ingaggio dei medici a gettone nelle aree d’urgenza più periferiche. Ma è anche il Pronto soccorso del Santa Maria della Misericordia ad essere sottodimensionato e in difficoltà. La situazione a Cattinara (Trieste) è forse la più esplosiva, con i sindacati più agguerriti della regione che sono già sul piede di guerra. «Il problema delle emergenze-urgenze è un problema nazionale. Stiamo vedendo una chiusura e una migrazione anche di personale dalle emergenze-urgenze verso altri reparti o addirittura fuori delle strutture pubbliche. È un problema che abbiamo sollevato più volte a livello nazionale perché sicuramente serve un riconoscimento intanto economico verso chi lavora nelle emergenze-urgenze, perché svolge un ruolo molto diverso anche rispetto agli stessi colleghi e agli operatori di quei reparti», ha detto Fedriga. Ma più di questo, più di un appello, per ora non si vede. 


LA PROIEZIONE
I veri dati allarmanti sono sì quelli del presente, ma a spaventare è soprattutto il futuro. Cioè un 2023 nel quale davvero i reparti di Pronto soccorso della regione saranno di fronte a un bivio. L’allerta è lanciata da Alberto Peratoner, sindacalista dell’Aaroi (anestesisti): «Il prossimo anno - è la sua visione lancinante - rischieremo davvero il default dei nostri reparti di Pronto soccorso». Una parola che fa gelare il sangue. Ma cosa si intende per default quando si parla di sanità pubblica? «Per default noi intendiamo una scelta inevitabile: molti reparti di Pronto soccorso, soprattutto quelli periferici e meno centrali, finiranno inevitabilmente tutti nelle mani delle cooperative esterne, le uniche che potranno garantire medici e infermieri. In caso contrario, ma non vorremmo che capitasse e non lo permetteremo, ci troveremo di fronte alla necessità di chiudere alcuni punti di primo soccorso». Un’ipotesi che la Regione non vuole nemmeno vagliare. Per ora. 

Ultimo aggiornamento: 17:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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