PORDENONE - Si parte con la musica di Gaber, “La libertà è partecipazione” e l’immancabile “La gente come noi non molla mai”.
IL PROTAGONISTA
Lui, il protagonista, arriva poco dopo le 16, accompagnato da tre colleghi e inseguito dai cacciatori di selfie. Ma si schermisce: «Non so cosa ci farete poi con queste foto. Noi non vorremmo passare per quelli che vogliono andare in giro per le piazze. Non siamo personaggi che vogliono “vendere” la propria faccia. Il messaggio che vogliamo dare è che siamo tutti noi assieme a voler cambiare le cose. I cartelli “noi siamo Stefano Puzzer” sono perfetti, ma dobbiamo scrivere “noi siamo cittadini e pretendiamo che i nostri diritti vengano rispettati». Un breve riferimento ai fatti della settimana come il Daspo incassato a Roma, ma solo per raccontare che «nelle cinque ore che ho passato in Questura, l’80 per cento delle persone che era lì dentro era con noi», poi gli inviti al dialogo (“è giusto un confronto, è giusto avere ognuno la sua idea, però non deve mai mancare il rispetto delle idee di nessuna persona. Tra di noi in porto a Trieste c’è chi ha deciso di andare a lavorare, però il rispetto c’è ed è rimasto. Solamente tutti assieme possiamo chiedere che i nostri diritti vengano rispettati”) e a non personalizzare la battaglia: «Stefano Puzzer sta diventando un’icona, ma io non sono un personaggio, non sono un divo, sono una persona come voi».
Puzzer racconta di essere stato sabato a La Spezia per incontrare i portuali liguri: «Stiamo creando un coordinamento nazionale per prendere delle decisioni e farlo tutti assieme. La protesta di Trieste dovrà essere protesta di tutte le parti d’Italia. La reazione del Governo sta diventando più dura, e in questo noi dobbiamo essere dei signori: non cadere in questi tranelli». Rivendica poi l’annullamento delle manifestazioni di tre settimane fa a Trieste (“ho preferito fare una figura barbina piuttosto che mettere in pericolo l’incolumità delle persone”) e ribadisce l’obiettivo, “togliere questo decreto e togliere l’obbligo vaccinale a tutti. Adesso l’unica cosa da fare è non mollare, andare avanti, parlarci fra di noi, confrontarci anche con chi non la pensa come noi, creare una forma di rispetto e non mollare. I portuali ieri c’erano a Trieste. Noi adesso abbiamo deciso che, senza andare sempre vestiti da portuali, visto che la visibilità ce l’abbiamo noi come categoria, inizieremo a vestirci da sanitari, da maestre d’asilo, da casalinghe, da nonne. È giusto che la nostra visibilità venga usata per chi ancora pensano sia invisibile».
GLI INTERVENTI
Prima di lui, sul palco, le testimonianze di manifestanti presenti sabato a Trieste; di lavoratori sospesi che raccontano la loro vita fra sacrifici, nuovo stile di vita, ricerca di lavoretti, collette per i colleghi più in difficoltà e buoni spesa ricevuti in regalo da donatori anonimi. Fino agli inviti a “salotto Risorgimento”, punto d’incontro per preghiere, Om e biodanza, e l’intervento di Matteo, imprenditore che sale sul palco per recitare una preghiera contro il progetto massonico che vuole ridurre la popolazione mondiale a 500 milioni di persone e allontanare i bambini dalle famiglie “per educarli alla massoneria mondialista e satanista”, in una “guerra fra i figli di Satana e i figli di Cristo”. Ma le dichiarazioni di rispetto si infrangono contro gli attacchi ai media: nel mirino prima i quotidiani locali, poi il Tg5, con insulti, cori e “inviti” ad andarsene, dal palco e di persona, fino alla decisione dello stesso Puzzer di concedere un’intervista alle sole testate “gradite”.