Lockdown duro a Shanghai, un friulano tra i "reclusi": «Ci manca anche l'acqua, droni contro le proteste»

Venerdì 15 Aprile 2022 di Marco Agrusti
Il friulano Jacopo Luci
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Ogni palazzo (e sono decine di piani) ha una chat. «Serve per organizzarsi nel giorno dei tamponi». Non si può neanche uscire per fare la spesa, altro che passeggiate e i famosi runner. Manca l’acqua. Sì, manca l’acqua. Davvero. «Ne abbiamo ancora solo per qualche giorno». Quella appena descritta non è la guerra. O meglio, lo è, ma la battaglia è quella dichiarata dalla Repubblica popolare cinese contro la variante Omicron a Shanghai. La voce è quella del friulano Jacopo Luci, distributore del gruppo industriale di famiglia che nella megalopoli ci vive dal 2018.

E che ora è intrappolato nel lockdown più duro del mondo, oltre che il più “fuori tempo” vista l’apertura generalizzata del resto del mondo. 


RECLUSIONE


Jacopo vive nella “French Concession”, ex concessione straniera vicina al centro della capitale finanziaria cinese. «E questo 2022 - racconta - sta diventando un incubo. Siamo chiusi in casa ormai dal 15 marzo e dal momento che nel mio palazzo è stato trovato un caso positivo, ci è stato comunicato che ci rimarremo almeno fino al 28 aprile». Funziona così, il tentativo di insistere con la strategia “zero Covid”. Ogni caso richiede test di massa e isolamenti veri, non basati sulla fiducia. «Ma con la variante Omicron - è la testimonianza del friulano (Jacopo è originario di Povoletto, Udine, ed è stato presidente del Fogolar furlan di Shanghai) - la situazione è sfuggita di mano. Dal 10 marzo i contagi sono esplosi ed è iniziato il lockdown totale: prima da un solo lato del fiume (lo Huangpu, un affluente del Fiume Azzurro, ndr), poi in tutta la città». E non ha niente a che fare nemmeno con il nostro, di lockdown duro. «Qui davvero non si può uscire, nemmeno per fare la spesa - racconta ancora Jacopo -. Tutto il condominio effettua un ordine unico per il cibo e ci si organizza solamente con le consegne a domicilio. L’unico permesso per mettere il naso fuori è legato ai tamponi». Jacopo ne mostra undici, tutti negativi, in foto. 


LA PAURA


«Ora - spiega preoccupato - hanno interrotto anche le consegne dell’acqua. Nel mio palazzo abbiamo scorte solamente per 48 ore. Stiamo cercando una soluzione, ma ci hanno consigliato di far bollire l’acqua del rubinetto. All’inizio avevano comunicato una serrata di cinque giorni, per questo le persone hanno fatto poche scorte. Fuori è tutto chiuso, spettrale, è severamente vietata ogni uscita. La zona è piena di telecamere che ti individuano immediatamente». E se durante la campagna massiva di test le autorità sanitarie trovano un contagio, scatta una nuova stretta. «Ancora 14 giorni di isolamento per tutto il palazzo, com’è recentemente successo a me». E chi protesta «riceve un drone vicino alla finestra che con una voce registrata suggerisce di smetterla».


LA NOSTALGIA


Jacopo gestisce a Shanghai anche una comunità di yoga. «Quell’attività riesco almeno a proseguirla in forma telematica, con lezioni a distanza. Ma il mio lavoro principale si è del tutto fermato». L’udinese non torna in Italia e in Friuli Venezia Giulia dalla fine del 2019, quando il mondo non conosceva ancora la parola Covid. «L’ultimo volo che non sono riuscito a prendere è stato quello che avevo a febbraio del 2020». La Cina allora era già chiusa. L’Italia lo sarebbe stata a breve. Shanghai lo è ancora oggi. Due anni dopo

Ultimo aggiornamento: 16:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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