L'infettivologo "rivoluzionario": «Basta isolamento, il Covid è endemico. Non ha più senso la quarantena»

Sabato 19 Novembre 2022 di Marco Agrusti
Un tampone
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PORDENONE - L’ospedale di Pordenone è in fermento. Sia nei reparti che, ultimamente, sulle pagine dei social network. Sono lontani gli anni delle bocche cucite e delle testimonianze unicamente anonime, magari per paura di finire “sotto processo” a livello interno. E dopo lo sfogo pubblico del medico di Pronto soccorso, che ieri è stato contattato anche da alcune forze politiche locali per la presa in carico delle emergenze di reparto, ora tocca a uno degli infettivologi più esposti durante gli anni duri della pandemia. Il suo nome è Sergio Venturini e fa parte dello staff diretto a Pordenone da un altro volto pubblico dell’era Covid, il primario Massimo Crapis.

Lungo e articolato, il suo punto di vista sul momento pandemico (anzi, endemico, come si vedrà in seguito). Con un argomento in risalto che può far discutere, visto il “pulpito”: «Oramai siamo in piena endemia. Trovo totalmente anacronistiche le quarantene e gli isolamenti preventivi». Questo, in sintesi, il pensiero “rivoluzionario” del medico. 


L’APERTURA


«Siamo in convivenza - spiega il professionista sulla sua pagina Facebook - e il Covid nei vaccinati non fa più cosi paura. Forza, iniziamo a considerare i pazienti non contagiosi quando sono clinicamente guariti». Il pensiero di Venturini in realtà non si limita all’isolamento e alla quarantena. L’infettivologo rimarca infatti come i vaccini più aggiornati «funzionano evitando la malattia grave. Certo, oramai le varianti sono sempre più contagiose per cui ci infetteremo comunque, ma quello che ci interessa è evitare la polmonite e non evitare la febbre». E ancora: «I monoclonali perdono un pochino di forza, gli antivirali reggono discretamente bene ma la vera terapia salvavita è sempre quella: vaccinarsi». Un pensiero a tutto tondo, che include anche un consiglio volto a «migliorare la comunicazione» sulla pandemia. «Definire tutti gli over 65 fragili lo trovo quantomeno offensivo», spiega. 


L’ALLARME


Sempre a margine dello stesso post, poi, ecco il grido simile a quello dei colleghi. «I medici se ne stanno andando. Gia prima era tosta ma la pandemia ha minato le basi del servizio sanitario nazionale. Abbiamo bisogno di risorse umane perché a breve la sanità rischia di andare a picco. Non è una questione economica ma di qualità di vita. Non si può pretendere che sia per tutti una missione. Siamo alla resa dei conti per la sanità pubblica. Se i concorsi continuano ad andare deserti e il personale se ne va spesso verso il privato il rischio è quello di implodere: qualità nel servizio, soddisfazione personale e qualità di vita. Devono essere tre capisaldi. È la giornata in memoria del Pronto soccorso. Ne danno il triste annuncio i cittadini inconsapevoli, i pazienti sventurati che non troveranno più nessuno e gli operatori che se ne andranno». 


LE INIZIATIVE


Un fermento, si diceva. Prima il medico di Pronto soccorso, che stando alle testimonianze interne all’ospedale sta avendo in queste ore diversi attestati di stima informali da parte dei colleghi per aver scattato metaforicamente una fotografia della situazione generale in cui versa il sistema dell’emergenza-urgenza. Poi l’infettivologo, uscito allo scoperto contro quello che ormai è ritenuto un esercizio eccessivo e immotivatamente estensivo dell’istituto - fondamentale nei momenti peggiori del Covid - della quarantena o dell’isolamento. 
Infine gli infermieri del Santa Maria degli Angeli, che hanno invaso le pagine dei social network con le fotografie di gruppo e la dicitura “salviamo il Pronto soccorso”.

Ultimo aggiornamento: 17:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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