Grazie a un tracciamento che finalmente si è fatto puntuale e preciso, a una programmazione sul fronte del sequenziamento del virus già rodata per la variante inglese e infine alla scelta di potenziare il sistema di monitoraggio garantendo più uomini, mezzi e finanziamenti, il Friuli Venezia Giulia ora si ritrova ad essere una sorta di “laboratorio” d’Italia.
IL PUNTO
Niente di strano, il virus (i virus in realtà, tutti) muta e continuerà a farlo. Il vaccino (è dimostrato) protegge anche da questa nuova variante, soprattutto dopo la seconda dose. Anche in Gran Bretagna, dove i contagi sono sopra i 20mila ormai da giorni, gli ospedali vivono una situazione di assoluta tranquillità. Nessun allarme eccessivo, ma solo la fotografia di una situazione resa possibile grazie all’intensa attività di tracciamento e sequenziamento. In Friuli Venezia Giulia, infatti, la variante indiana è presente nel 70 per cento dei campioni selezionati. Quindi ha già “vinto” la partita con il ceppo inglese, dominante nel corso della terza ondata. I risultati sono contenuti nel rapporto dell’Istituto superiore di sanità e fanno riferimento a un’opera di campionamento che è avvenuta il 22 giugno scorso. Si tratta quindi di un’immagine del recente passato, e le proporzioni potrebbero essere già cambiate. Il dato però è secco: la variante Delta in Friuli Venezia Giulia “copre” il 70 per cento dei casi selezionati. Nel dettaglio, il sistema attivo di sorveglianza regionale ha scelto 17 tamponi molecolari da sequenziare, dopodiché è iniziato il delicato lavoro di microbiologia, finalizzato ad individuare nella “forma” del virus eventuali variazioni rispetto al ceppo originario, ormai quasi scomparso dalla circolazione. Ebbene, su 17 tamponi, 12 sono risultati positivi alla variante Delta.
SPIEGAZIONI
Ora però ci si deve fermare. La diffusione non è pari al sequenziamento. Non è così perché diversi tamponi sono stati prelevati all’interno di un focolaio noto e già legato alla variante Delta. La seconda considerazione riguarda l’ampiezza del campione, elemento che in statistica è simile alla differenza tra il mare e i monti. Diciassette tamponi, infatti, sono ancora pochi per definire un quadro generale. Ma danno l’idea. Dei pochissimi contagi che ormai si contano in Friuli Venezia Giulia sulle 24 ore, circa il 70 per cento appartiene alla cosiddetta variante inglese. C’è ancora un dettaglio che merita la giusta luce. In regione si fanno tanti tamponi. Se si confronta la capacità di testare con la popolazione residente, nessuno riesce a fare meglio in tutta Italia. E per individuare una variante non si possono selezionare i test rapidi antigenici, ma solamente i tamponi molecolari classici. Quindi il livello di ricerca in regione è molto alto e accurato. In conclusione, quanto ci si deve allarmare? Tutto dipenderà, ancora una volta, dalla copertura vaccinale della popolazione con due dosi. Il Friuli Venezia Giulia fortunatamente si presenta alla sfida della variante Delta con una delle quote di richiami già effettuati più alte del Paese. E al momento ha gli ospedali letteralmente vuoti, nonché un livello di contagio ai minimi. Attenzione sì, allarmismo no.