A due anni e mezzo dal primo contagio, ospedali ancora prigionieri dei tamponi: «Ora basta, così intasiamo i reparti». Il rischio tilt

Venerdì 18 Novembre 2022 di Marco Agrusti
Un reparto Covid
4

Gli esperti della nostra regione, cioè gli stessi che nei momenti peggiori della pandemia erano i più ferrei sostenitori del massimo rigore e della prudenza ad ogni costo, ormai lo considerano «un abominio». E i reparti in modo colloquiale vengono definiti «lazzaretti». Fuori, intanto, la vita scorre. Anzi, è tornata praticamente la stessa del 2019, prima dell’arrivo del primo caso di Covid. Si va allo stadio, in discoteca, ai concerti, in treno senza mascherina. Ma appena si varca la soglia del Pronto soccorso di un ospedale, ecco che si torna di colpo alla primavera del 2020, a un mondo capovolto. E la barriera si chiama tampone, una pratica che oggi in Friuli Venezia Giulia sta continuando a bloccare gli ospedali. Il legame con l’affollamento dei reparti di Pronto soccorso, poi, è più stretto di quanto si pensi: solo a Pordenone, ad esempio, ci sono di norma sette-otto pazienti che proprio a causa di un test positivo faticano a trovare posto in ospedale. 


IL QUADRO


Le Aziende sanitarie hanno fatto quello che potevano.

La Regione anche. Per quanto di competenza, le regole sono state allentate. Non si fanno più tamponi a cascata a tutto il personale sanitario, nei reparti “normali” sono state create le cosiddette bolle, cioè delle stanze dedicate ai pazienti positivi ma non sintomatici. Eppure il sistema è di nuovo in tilt. «E ci è tornato - garantiscono gli esperti coperti dall’anonimato in quanto direttamente coinvolti all’interno degli ospedali della regione - perché come sempre nella stagione fredda tornano i problemi respiratori. E i virus circolano». Sta di fatto che ancora oggi, con una pandemia totalmente scomparsa dalla vita quotidiana delle persone, per essere ammessi in reparto serve un tampone negativo. E se è positivo? Si segue un altro percorso, come nel 2020. Con l’unica differenza rappresentata dalle “bolle”, che però hanno già fallito. Sia a Pordenone che a Udine, infatti, le piccole stanze per positivi nei reparti normali non bastano nemmeno al fabbisogno giornaliero. L’intento della Regione era buono: provare a distinguere i sintomatici dagli asintomatici. Ma senza l’eliminazione del tampone in ingresso non si va lontano. 


LE CONSEGUENZE


L’esempio più chiaro arriva ancora una volta da Pordenone. La Medicina interna è sotto pressione. Ha 140 pazienti, con una quota di personale medico buona per 90 persone. La frattura tra possibilità di cura e dotazione organica è evidente. E l’intasamento è creato proprio dai pazienti che del Covid non hanno nemmeno le tracce, ma che rimangono “ostaggio” del reparto pandemico perché positivi al tampone. A Udine succede la stessa cosa, e le conseguenze per tutta la macchina ospedaliera sono pesanti. A causa dei turni massacranti, infatti, sempre più medici internisti vogliono gettare la spugna. Alcuni l’hanno già fatto, contribuendo alla riduzione del personale operante nei reparti. La seconda grave conseguenza riguarda i reparti di Pronto soccorso. Nel settore dell’emergenza-urgenza la situazione è già seria per il poco personale presente e gli accessi sempre più frequenti (se ne parla alla pagina successiva). Il tampone complica ulteriormente il quadro, dal momento che molti pazienti positivi devono restare in barella in attesa di un posto libero nelle Medicine Covid. 


L’EVOLUZIONE


Il tutto mentre il virus, come dicono gli stessi esperti contattati «non è più clinicamente un problema». Non lo è perché ad esempio a Pordenone oggi ci sono solamente tre pazienti con problemi respiratori veri dati dal Covid. Si tratta di tre persone che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino, a conferma dell’efficacia dell’antidoto nei confronti delle forme più gravi della malattia. Di fronte a un virus clinicamente “spento” e a un inverno che nella società civile si annuncia finalmente normale (sarà libero anche dal Green pass), il sistema degli ospedali però risponde con le stesse regole di due anni fa. E ora un appello parte da tutta la regione nei confronti del nuovo governo. 

Ultimo aggiornamento: 16:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci