Coronavirus, papà Michele esce dal coma: "rinato" dopo la terapia intensiva

Martedì 14 Aprile 2020 di Cristina Antonutti
Coronavirus, papà Michele esce dal coma: "rinato" dopo la terapia intensiva
PORDENONE - Valérie è con le sue bambine, quando da un numero sconosciuto arriva una videochiamata. È il 25 marzo. Sul telefonino c’è l’immagine di suo marito, uno dei più giovani malati di Covid-19 ricoverati all’ospedale di Pordenone. La moglie non lo vede e non lo sente da otto giorni. Il cuore si ferma, gli occhi si riempiono di lacrime e le figlie di 9 e 11 anni cominciano a gridare “papàààà”. Lui, Michele Neri, un pezzo d’uomo di Latisana abituato al duro lavoro nei cantieri edili, vorrebbe parlare, ma dopo tutti quei giorni in coma farmacologico può rispondere solo con gli occhi. Il dottor Tommaso Pellis lo ha appena estubato e, con uno dei tablet donati dai Lions alla Terapia intensiva, lo mette in contatto con la famiglia. È con la moglie e le figlie di Michele che vuole condividere un momento che ha emozionato e spronato l’intero reparto ad andare avanti. Seguiranno giorni di alti e bassi. Michele si aggraverà di nuovo e tornerà in Rianimazione, ma la vigilia di Pasqua per lui e la sua famiglia è stata una vera rinascita.

L’incubo è finito. Valérie, che cosa ha significato quella videochiamata?
«Il dottor Pellis mi chiamava tutti i giorni, non mi aveva nascosto che si andava incontro alla morte. Invece me l’hanno salvato. Sono gli angeli su questa terra. Mio marito è nato il 25 dicembre, a Natale, e il 25 marzo è rinato in Terapia intensiva».

Come si è ammalato?
«Lui è uno che non si ammala mai. Andava su e giù a Padova per lavoro, finchè il 7 marzo è cominciata la febbre. Non gli ha dato tregua fino al 14 marzo, poi è cominciata una tosse fastidiosa che neanche le gocce e gli antibiotici riuscivano a calmare. Quando sono cominciati i problemi di respirazione, il medico di famiglia ha individuato una polmonite bilaterale. Il 17 marzo la situazione è precipitata. Respirava a fatica, ho capito che poteva essere il virus e ho chiamato il 112. Lo hanno portato via in ambulanza e, dopo una breve sosta all’ospedale di Latisana, è stato trasferito a Pordenone».

Come ha seguito il percorso clinico?
«Da quel momento l’unico contatto è stato il medico che mi chiamava due volte al giorno, una persona speciale, che non finirò mai di ringraziare. Non c’è la possibilità di andare in ospedale e per le famiglie è difficile in queste condizioni. Mio marito era sedato e intubato, abbiamo pregato tanto per lui. È stato un incubo, ma sapere che era in buonemani è stato importante».

Come sta adesso Michele?
«È un uomo forte, ma il coronavirus ha minato il suo fisico. Nei giorni in cui la febbre non gli dava tregua, a casa, ha perso otto chili. Ma l’importante è che torni a casa». Il giorno in cui è stato estubato in reparto a Pordenone la gioia era incontenibile. «Immagino, ho voluto raccontare la nostra storia per ringraziare medici e infermieri, ma anche per dare una speranza a tutte quelle famiglie che hanno un proprio caro in ospedale. So che cosa vuol dire stare lontano, senza poterli vedere e senza sapere. Sei lì che aspetti una buona notizia... È un incubo, ma voglio che sappiano che si può uscirne, che c’è speranza».

È riuscita ad avere altri contatti con Michele?
«Dopo il 25 marzo c’è stata un’altra videochiamata ed è riuscito a parlare. Poi, una mattina, un altro numero sconosciuto mi ha chiamato. Credo fosse il telefono di qualche medico o infermiere che ringrazio tanto. Ha risposto mio marito, una sorpresa, ho potuto parlargli. Il suo unico pensiero era sapere come stavamo io e le bambine. Era preoccupato, forse temeva di averci contagiato. Ma deve stare sereno, perchè noi stiamo tutte bene».

Come hanno reagito le bambine?
«Loro sanno tutto. Sentono parlare del coronavirus in televisione, sanno che cosa sta succedendo. Devo dire che sono state la mia forza. Mio marito è un combattente e le bambine lo sanno. Continuavano a ripetermi che il papà sarebbe tornato a casa e così sarà. Quando è arrivata la prima videochiamata erano con me, lo hanno visto e continuavano a dirgli “papà ci manchi” e ancora “forza papà”. Un momento indimenticabile».
Ultimo aggiornamento: 16:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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