Ivan, 32 anni, infermiere volontario a Bergamo: «Non posso abbandonarli, mi viene il magone»

Mercoledì 1 Aprile 2020 di Cristina Antonutti
Ivan Coden

PORDENONE -  Ivan Coden è un infermiere di 32 anni che vive la professione come una missione. Dal 25 marzo si trova in prima linea all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nel reparto Chirurgia Covid. È un infermiere di sala operatoria, lavora al Policlinico San Giorgio di Pordenone. L'emergenza coronavirus ha bloccato gli interventi chirurgici ordinari e lui si è ritrovato in ferie. «Non potevo stare a casa - spiega - Guardavo la tivù e mi dicevo che cosa stai a fare qua, vai». A Fontanafredda, dove abita con la compagna, anche lei infermiera, e due bambine, seguiva le fasi dell'emergenza e non si dava pace. Ha cercato poter dare una mano aderendo alle chiamate dei bandi di Friuli Venezia Giulia e Veneto. «Non mi chiamavano - racconta - e allora ho contattato la Croce rossa». La sua missione termina il 9 aprile. Ma lui non ci sta. «Torno - assicura - al pensiero di andar via e di abbandonarli mi viene il magone».

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IN REPARTO
Parla dalla stanza di quello che a Bergamo ormai è stato ribattezzato l'hotel della Croce rossa. È in attesa di cominciare il turno di notte. Le sue giornate si dividono tra reparto e stanza d'albergo, cerca di avere meno contatti possibile, perchè a Bergamo la situazione è tragica. Nel suo reparto il 60% delle persone ha le mascherine d'ossigeno oppure respira con l'aiuto dei Cpap, i caschi per la terapia e la ventilazione meccanica che abbiamo imparato a conoscere in queste drammatiche settimane. «Tu per loro sei uno che non ha faccia - racconta - perchè abbiamo le protezioni, non possono vedere il nostro volto. Ma gli unici con cui possono parlare siamo noi, che per riconoscerci scriviamo il nostro nome sui camici. E così anche i malati ci chiamano per nome: ciao Ivan, è tornato.... È bello, un'esperienza toccante».

LA SQUADRA
A Coden, che è così giovane da non poter ricordare la straordinaria prova di solidarietà ai tempi del terremoto, avevano detto che i bergamaschi era gente dura, come i friulani. «Sono persone splendide, con cui sono subito riuscito a fare squadra - osserva - Si fa gruppo in un reparto che è stato creato ex novo, sono bravi». I bergamaschi nel 1976 sono stati tra i primi a mollare tutto e rimboccarsi le maniche per il Friuli. Ivan, in questo momento, restituisce un po' di quella solidarietà. E con lui ci sono i suoi amici federcacciatori. Non è un caso, infatti, che Federcaccia Fvg abbia scelto di versare una parte delle donazioni raccolte all'Anpas di Bergamo per la costruzione dell'ospedale da campo. Coden, che fa parte dei gruppi WhatApp dei cacciatori, ha subito ringraziato inviando una foto in divisa e mascherina, perchè nei reparti Covid, spiega, farsi una foto e abbracciarsi con il camice è diventato un modo per fare squadra. «La sua immagine è uno spettacolo - ha scritto il presidente di Federcaccia, Paolo Viezzi - il senso pieno dell'umanità, della forza e del sorriso positivo. Grazie Ivan siamo tutti con te».

I CACCIATORI
A Bergamo sono stati inviati i primi 8mila. L'importo è stato messo a disposizione da Federcaccia, che ha attinto a risorse proprie, e dai Distretti venatori Bassa pianura friulana e Valli del Natisone. «Abbiamo deciso d'intervenire immediatamente verso gli amici lombardi - spiega Viezzi - perché stanno vivendo più di altri una situazione dalla drammaticità impressionante. Quanto versato dalle sezioni comunali, dalle Riserve di caccia e dai tanti associati e simpatizzanti ammonta a circa 28/30mila euro, verrà impegnato entro i prossimi giorni per soddisfare le richieste del servizio sanitario regionale. Per il momento ci è stato chiesto di acquistare una macchina Lucas (dispositivo meccanico per compressione toracica, ndr) che costa circa 17mila euro e altri dispositivi. Abbiamo già ordinato 4 tablet per donarli al reparto terapia intensiva e consentire ai malati più gravi di rimanere in contatto con i familiari».
Cristina Antonutti
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Ultimo aggiornamento: 12:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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