Contagi in reparto nel momento terribile della pandemia: il gip archivia la posizione dell'ex primario

Mercoledì 9 Novembre 2022 di C.A.
Covid

PORDENONE - È impossibile trovare un collegamento tra la positività al Covid dell’ex primario di Anatomia patologica dell’ospedale di Pordenone e i contagi di tre dipendenti in pieno lockdown.

Ieri il gip Monica Biasutti ha definitivamente chiuso la vicenda disponendo l’archiviazione del fascicolo d’indagine: ritiene che non sia emerso alcun nesso di causa e che non si possa configurare l’ipotesi di epidemia colposa nei confronti dell’anatomo patologo Sandro Carlo Sulfaro. È la stessa conclusione a cui era arrivato il sostituto procuratore Carmelo Barbaro, che dopo due anni di accertamenti affidati ai carabinieri del Nucleo investigativo aveva chiesto l’archiviazione del caso. A opporsi, attraverso l’avvocato Luca Colombaro, era stata la dipendente dell’Azienda sanitaria che in una denuncia-querela aveva fatto riferimento a comportamenti «negligenti» da parte del superiore. È in seguito all’opposizione all’archiviazione che ieri la vicenda è stata esaminata dal giudice per le indagini preliminari, che nella sua decisione non ha fatto a meno di sottolineare che la denunciante non era parte offesa, in quanto non rimase contagiata.


GLI ACCERTAMENTI


Il focolaio in Anatomia patologica risale a marzo 2020. I contagi erano forse riconducibili al mancato rispetto delle linee guida emanate dalla Regione? Secondo quanto riferito nella denuncia, il primario sarebbe andato al lavoro pur manifestando i sintomi del Covid, non avrebbe rispettato il distanziamento e indossato la mascherina. Una versione che ha trovato conferma in diverse testimonianze raccolte dagli investigatori. Un «comportamento estremamente superficiale, aggravato sia dalla notoria situazione emergenziale sia dal ruolo rivestito», ha evidenziato la Procura, ma che non può comportare conseguenze penali perché non è provato che a contagiare le tre dipendenti sia stato lui.


L’OPPOSIZIONE


Secondo l’avvocato Colombaro, ci sarebbe stato margine per valutare un’ipotesi di lesioni nei confronti delle dipendenti che avevano avuto una malattia di oltre 40 giorni riconosciuta dall’Inail e ricondotta al luogo di lavoro. Nell’opposizione all’archiviazione ha chiesto al gip di acquisire altre testimonianze e di acquisire ulteriori documentazioni, nel presupposto che il primario, responsabile di sicurezza e tutela della salute dei dipendenti del reparto, avesse disatteso le prescrizioni della Regione, che vietava l’accesso in ospedale a operatori sanitari con sintomi influenzali, raffreddore o tosse.


LA DIFESA


«L’archiviazione - afferma l’avvocato Fabio Gasparini, che ha tutelato Sulfaro - restituisce serenità e dignità al mio assistito. Si è sempre attenuto alle linee guida ministeriali, anche per quanto riguarda le mascherine. Si è ritrovato in un clima di caccia alle streghe, si è voluto trovare un capro espiatorio». A fine marzo 2020 l’ospedale di Pordenone, come tutte le strutture sanitarie in Italia, si è ritrovato a gestire una situazione di emergenza senza precedenti tra contagi fuori controllo, decessi, cure che non funzionavano e persino carenza di dispositivi di protezione. La difesa ha ricostruito quei giorni terribili confrontando anche le disposizioni contenute nelle linee guida, compresa quella che, vista la mancanza di mascherine, invitava a indossarle soltanto in presenza di soggetti sintomatici. «Per parlare di epidemia colposa - spiega il legale - bisogna provare elementi come la diffusione, la diffusibilità, l’incontrollabilità del diffondersi del male in un dato territorio e su un numero indeterminato e indeterminabile di persone, elementi non riscontrabili nell’ambito di un ospedale». Una mail del 13 marzo inviata dal responsabile del Servizio di prevenzione affermava che chi lavorava in Anatomia patologica correva gli stessi rischi della «popolazione generale» e pertanto era previsto l’uso delle mascherine «se non a contatto di casi positivi». «La situazione era tale - ha ricordato il legale al gip - che per rinvenire nuove mascherine il dottor Sulfaro si è persino recato ai Servizi Esequiali per ottenerne una quantità apprezzabile per il proprio reparto».

Ultimo aggiornamento: 08:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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