Dal Nordest in moto fino a Chernobyl, le foto del viaggio sul disastro in un calendario

Giovedì 5 Novembre 2020 di Clelia Delponte
Sergio Vian davanti al sarcofago sul reattore quattro realizzato dalla Cimolai di Pordenone a Chernobyl

ROVEREDO IN PIANO - Moto, viaggi, fotografia. Sono le passioni di Sergio Vian, 54 anni, titolare di un’autofficina a Roveredo in Piano, in provincia di Pordenone, dove risiede. Passioni che si sposano benissimo tra loro. Ed ecco che le ferie estive diventano l’occasione per fare un viaggio in sella a una due ruote, macchina fotografica al collo, verso mete insolite, dove poter vedere coi propri occhi e raccogliere documentazione. Il risultato viene distillato in un calendario, da distribuire ad amici e conoscenti. Quest’anno l’emergenza sanitaria e la necessità di recuperare il lavoro perso dopo il lockdown, hanno costretto a rinunciare a ogni progetto. Così non è restato altro che consolarsi sfogliando le pagine del calendario, ricordando il viaggio dell’estate 2019. Meta e oggetto del reportage fotografico: Chernobyl, in Ucraina e un tempo località dell’Unione Sovietica.

Raggiunta a bordo di una moto Guzzi V11, quasi tremila chilometri tra andata e ritorno, con altre due moto e un’auto di amici al seguito.

Sergio Vian, quale tragitto ha seguito? «Abbiamo attraversato Austria, Repubblica Ceca, Polonia. Tutto è filato liscio fino al confine con l’Ucraina, dove l’attesa è stata di 2 ore e mezza a causa di rigidi controlli, tra code interminabili di auto e camion. Il nostro gruppo e la nostra insolita meta hanno suscitato tantissima curiosità. In realtà è possibile visitare la zona di esclusione (2600 km quadrati, recintati da filo spinato e sorvegliati dai militari) con dei mini tour organizzati. Il nostro era composto da 12 persone: italiani, polacchi, tedeschi, americani e ucraini».

Quali misure di sicurezza vengono adottate? «Ai partecipanti viene consegnato un contatore Geiger per controllare costantemente la radioattività. In caso di superamento della soglia bisogna allontanarsi immediatamente. Avvicinandosi alla foresta rossa, la prima zona invasa dalla nuvola radioattiva, i contatori impazzivano. Ci è stato raccomandato di non appoggiare mai niente per terra e di non raccogliere niente. I tempi sono contingentati, non si può rimanere troppo a lungo».

Qual è stato il primo luogo che avete visitato? «Il cosiddetto Villaggio Abbandonato che un tempo contava 15mila abitanti. Tutto è rimasto come congelato: è stato abbandonato in fretta e ora la natura se lo sta “mangiando”. Pripyat, che un tempo contava 50mila abitanti, città/modello moderna costruita per chi lavorava alla centrale, non solo è stata abbandonata, ma anche saccheggiata di ogni cosa che era possibile riutilizzare o rivendere. Di grande suggestione è il Luna Park, la cui inaugurazione era imminente al momento dell’incidente. Il mio pensiero è andato ai profughi: non erano ben accetti, perché considerati radioattivi. Inoltre, lavorando per la centrale avevano un buon stipendio e servizi migliori, rispetto al resto della popolazione. Non c’è stata solidarietà nei loro confronti».

Dove avete dormito? «Nel villaggio da cui ha preso il nome la centrale, Chernobyl. È l’unico avamposto abitato nella zona di alienazione. Ci vivono militari, pompieri, addetti alla centrale. Ma possono rimanere solo per due settimane, poi devono passare 2 settimane all’esterno. Ci sono solo una mensa e un dormitorio. In centro c’è un monumento agli eroici pompieri che intervennero inconsapevoli di cosa li stava aspettando e un monumento di gemellaggio con Fukushima. Impossibile non commuoversi».


 

Cosa ha provato davanti alla centrale nucleare di Chernobyl? «Incredulità, sembra tutto così irreale. Emozione, paura. La consapevolezza di essere arrivato in un luogo dove si sono scritte pagine di storia drammatiche. L’immensità del sito è impressionante, il sarcofago costruito dalla Cimolai di Pordenone imponente. La zona è sicura perché è stata bonificata, ma il reattore numero quattro della centrale di Chernobyl 4 è ancora vivo, la temperatura all’interno è altissima. E’ possibile accedere a due torri di raffreddamento mai finite. All’interno si provano sentimenti molto forti, ci si interroga sul delirio di onnipotenza dell’essere umano, sul rapporto con la natura, un tempo temuta e venerata, oggi ritenuta un ambito da dominare e manipolare. Sulle bugie dei potenti a danno dei più deboli e degli innocenti».

Un altro sito significativo? «Duga 3, il fantasma della guerra fredda: un complesso di enormi antenne in funzione antimissilistica, che si trova nell’area e per questo non è stato smantellato. Spettacolare».
Quale pensiero si è portato a casa? «Una riflessione sulla smania di potere, e sul significato di una dittatura, per la quale le persone non contano e sono tutte sacrificabili».

Quale pensiero si è portato a casa? «Una riflessione sul potere, o meglio sulla smania di potere, e sul significato di una dittatura, per la quale le persone non contano e sono tutte sacrificabili».

Quali sono state le mete dei suoi viaggi passati? «Mi piace andare nei luoghi significativi per la storia. Ho cominciato quando avevo 26 anni e ho girato mezza Europa, sempre in sella alla mia moto: Normandia, Balcani, Transilvania, Auschwitz, Birkenau. Tra i viaggi che mi sono rimasti più nel cuore sicuramente ci sono Capo Nord, i Balcani e Chernobyl. Oggi si può conoscere e vedere tutto su internet, ma vedere con i propri occhi è un’altra cosa»

Ultimo aggiornamento: 08:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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