Il Mose sta alla salvezza di Venezia come la diga di Ravedis sta a quella della provincia di Pordenone.
I primi progetti risalgono addirittura agli anni 50, visto che il bacino imbrifero del Cellina e del Meduna fa parte di una delle zone più piovose d'Italia, se non la più piovosa in assoluto. Il disastro del Vajont del 1963 - venti chilometri in linea d'aria più a nord - stoppò tutto fino agli anni '90, quando l'iter riprese, per subire un altro brusco stop all'epoca di Tangentopoli. Solo all'inizio del 2000 i lavori sono ripartiti, per giungere ai collaudi una decina di anni fa.
DOPO VAIA
La prima volta che si capì l'importanza di questo bacino e del sistema di dighe - sono ben cinque, tra Valcellina e Val Tramontina - fu due anni fa, quando Vaia arrivò a fare scaricare verso la pianura 1.400 metri cubi d'acqua al secondo: gli sbarramenti mitigarono gli effetti a valle, nella bassa pianura Pordenonese, che restò quasi indenne. La replica nello scorso fine settimana. In zona diga sono caduti 786 millimetri in 59 ore (a cui si deve aggiungere lo scioglimento della neve già presente in quota). In 59 ore - osservano gli esperti di questi fenomeni estremi - è piovuto più che in un anno su tutta la fascia costiera del centro Italia. Sempre gli esperti rammentano che, rispetto all'alluvione di 18 anni fa, le previsioni meteo si sono notevolmente affinate: l'allerta rossa è stata annunciata con 48 ore di anticipo, dando modo alle 5 dighe di svuotarsi per scaricare a valle quanta più acqua possibile, facendo posto a quella in arrivo. I lavori post Vaia sono risultati decisivi anche per la salvezza della Carnia.
Lorenzo Padovan
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