Case svuotate tra Pordenone e Treviso: 17 anni alla banda dei cento furti

Giovedì 2 Luglio 2020 di Cristina Antonutti
Case svuotate tra Pordenone e Treviso: 17 anni alla banda dei cento furti
PORDENONE - Oltre 17 anni di carcere alla banda dei cento furti che, una volta arrestata, portò i poliziotti della Squadra Mobile nel nascondiglio in cui custodiva 1,3 chilogrammi di oro, gioielli e pistole rubati nelle abitazioni di Friuli e Veneto tra fine 2018 e inizio 2019.
Ieri Darjel Prushi, 27 anni, libero e con dimora a Milano, Edmond Et Hemaj (36) detto Mondi, di Conegliano, attualmente sottoposto alla misura dell'obbligo di firma come Nikoll Dobrozi (27) detto Niku, domiciliato a Treviso, sono stati processati con rito abbreviato nell'udienza preliminare del gup Giorgio Cozzarini. L'avvocato Maurizio Mazzarella contava di contenere le pene grazie al fatto «che io e gli imputati abbiamo fatto recuperare refurtiva per un valore di un milione di euro, così come aveva calcolato la Questura».
Il pm Federico Facchin, tenuto conto della collaborazione, aveva chiesto 6 anni per Prushi, 8 per Et Hemaj e 7 per Dobrozi. Il gup ha riqualificato una rapina in furto aggravato e inflitto 6 anni 6 mesi e mille euro a Prushi; 5 anni 7 mesi e 853 euro a Et Hemaj; 5 anni 3 mesi e 813 euro a Dobrozi.

PARTE CIVILE
In udienza preliminare, a sorpresa, si è costituito parte civile l'avvocato Emanuele Maccarrone per una vittima che aveva patito un furto del valore di 140mila euro tra gioielli e un orologio che aveva una grande valore affettivo, perchè era appartenuto al padre. Nonostante la collaborazione dei tre imputati, non è stato possibile recuperare nulla. Il Gup ha riconosciuto una provvisionale di 30mila euro, le spese legali e la quantificazione del danno in separata sede. Al termine del processo Mazzarella ha parlato di una «sentenza equilibrata, che ha tenuto conto del recupero di buona parte della refurtiva, senza la nostra collaborazione non avrebbero mai trovato il nascondiglio». «È una pena adeguata - ha commentato il procuratore Raffaele Tito - purtroppo sono già liberi da tempo, vedremo se poi sconteranno veramente la pena».

I FURTI
Ai tre gli investigatori avevano attribuito un centinaio di furti, poi ridotti a 69 nel lunghissimo capo di imputazione. Tra novembre 2018 e gennaio 2019 i raid avevano colpito Pordenone, Sacile, Prata e, in provincia di Treviso, Follina, Vittorio Veneto, Conegliano, Mareno di Piave, Susegana, Gaiarine, Codognè, Belluno e Miane. La banda avevano rubato gioielli, preziosi, orologi, denaro contante e armi per un valore che è stato stimato in un milione di euro. Il Gip che aveva emesso l'ordinanza di custodia cautelare li aveva definiti dei «compulsivi criminali», dei «malavitosi disoccupati che all'evidenza traggono dai furti il necessario al loro sostentamento», «incapaci di governare le loro inclinazioni criminali». Si erano organizzati con auto, base logistica e sopralluoghi. L'oro rubato veniva inviato in Albania attraverso uno dei complici che, per evitare posti di controllo e allontanare i sospetti, viaggiava da Conegliano a Tirana in corriera.

LE PISTOLE
La banda, oltre ai gioielli, aveva fatto ritrovare anche due pistole: una Sig Sauer 45 e una Walther 9x21 con i relativi caricatori. Erano state rubate il 21 gennaio 2019 in via Carducci a Sacile, assieme a due Rolex, sei lingotti in oro, gioielli e carte di credito. È da questo furto che il Gup è partito per calcolare la pena, riconoscendo a Prushi la continuazione per altri 66 colpi; a Et Hemaj per altri 51 e a Dobrozi per ulteriori 45.
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