Arianna Gasperina, la scultrice che modella il legno con la motosega

Sabato 15 Gennaio 2022 di Chiara Pavan
Arianna gasperina e una sua scultura in legno

PORDENONE - La motosega, per lei, è come un pennello. O uno scalpello. Certo, «è un attrezzo brutale che non perdona», pesa 6 chili ed è complicato da usare, ma scolpire il legno con una motosega da abbattimento la emoziona nel profondo. Anzi la rasserena. «Quando sento il suo suono, quando la metto in moto, immagino quante cose potrei creare: è come avere pennello e matita». Arianna Gasperina ride divertita: sa benissimo di essere una delle poche donne scultrici, se non l'unica, che si diletta a modellare il legno a colpi di motosega, ma quell'oggetto così particolare, pesante e in un certo senso maschile, le consente di creare figure leggere e al tempo stesso energiche, misteriose e fluttuanti che sembrano ondeggiare tra terra e cielo.

Come la nuova scultura, ancora top secret, nata da un tronco di tiglio abbattuto dal vento e scaraventato sull'Isola dei Morti, opera che le associazioni di Moriago della Battaglia vogliono donare al Comune e che sarà svelata oggi alle 18 alla Casa del Musichiere di Moriago, aprendo la personale E mi rialzo ideata per il festival della Cultura curato da Lorena Gava (fino al 30 gennaio).

LA STORIA

Pordenonese, classe 1978, studi al Liceo Artistico di Oderzo e perfezionamento su marmo, pietra, legno, terracotta e bronzo con i maestri trevigiani Gaetano Brugnano ed Elena Ortica, Arianna è rimasta folgorata dalla bellezza del legno grazie allo scultore Kurt Wierer in Val Pusteria, per poi scoprire la motosega come strumento perfetto per realizzare i volumi di volti e corpi con Giovanni Padovan, artista di Frisanco. «Mi hanno insegnato a maneggiare quello strano attrezzo, a usarlo senza farmi male, a come arrivare a certi risultati, cosa evitare, e come rispettare il materiale scelto». Gasperina è un mix di mondi in tensione nati, forse, dalle sue radici nordestine: papà originario di Tarvisio con richiami cadorini, mamma triestina con genitori piranesi. E lei, che ora vive a Prata di Pordenone nella sua casa-laboratorio dotata anche di sala espositiva, si sente parte del mondo in cui vive. Ama creare nel suo atelier, ma quando deve scolpire creature alte anche tre metri, si rifugia in mezzo a un campo dietro casa, «immersa nella natura: non c'è nessuno, uso la motosega, faccio un botto di polvere e sono felice - risata allegra -. Qualcuno mi ha detto che quando lavoro con questi attrezzi, fatti per tutt'altro, sembra che io danzi. Non so, mi pare di illuminarmi. Adoro la motosega. Scolpisco fino ad arrivare al lavoro finito». Per immaginare le sue semidee simili a Nike che puntano verso il cielo, può contare su un vero e proprio set di seghe: «Parto sempre con quella da abbattimento e poi passo alla media, quindi alla più piccola fino a sega da potatura, che mi permette di rifinire tutto». La sega elettrica, invece, non le piace molto, sarà anche più leggera e maneggevole, ma quella a motore «è più potente e bella, è come una moto: ti consente l'accelerazione, e se la lama si pianta dentro il legno non ti dà contraccolpo. Per come lavoro io, è più modellante. Certo, dipende sempre da come viene adoperata, da quello che vuoi creare. Io la sento mia».

ALBERI E LO SHOCK DI VAIA

Pur avendo realizzato lavori in pietra e marmo (a Caorle a realizzato un angelo per Scogliera Viva nel 2016), il materiale prediletto resta il legno, che va ascoltato, assecondato, capito, amato. «E' un po' la metafora della vita dell'uomo, vive e respira, il tempo lo lavora, lo modifica e lui cambia divenendo ancora più potente». Ogni albero possiede un carattere tutto suo, «la sua venatura ti respinge o ti fa entrare. Bisogna saper scegliere legno giusto e saperlo rispettare. Allora escono meraviglie». E poco importa se le sue creature restano in mezzo al campo-laboratorio mentre lavora. Per un angelo di tre metri che verrà consegnato tra poco, ha lavorato un anno all'aperto, «l'opera è rimasta là per tutto il tempo, e si è perfettamente essiccata. Quando la consegnerò, credo che il legno si muoverà pochissimo, perché ha già preso tutto, inverno estate, umido e bagnato». Le è pure capitato di utilizzare i tronchi di Vaia, in Trentino, «e ne sto scolpendo un altro che andrà a San Quirino, sarà un monumento per i Donatori di sangue. Di solito, scelgo legni che provengono da abbattimenti programmati, in questo modo è come se ri-donassi loro una vita eterna. Ma c' è una cosa che mi ha colpito dei legni di Vaia: pur essendo bagnati e freschi, rispondono come se fossero secchi. La loro struttura è cambiata. Mi sono chiesta cosa debbano aver sentito quelle piante quando è passata la tempesta: si sono portate dentro quello shock tremendo».
Per Arianna Gasperina l'arte deve suscitare emozioni toccando il profondo di ognuno. Un dialogo fatto in punta dei piedi, con rispetto, ma anche forza e determinazione. E l'arte, per questa scultrice, è quasi terapeutica. La racconta da vicino. Quando lavora, infatti, vive emozioni che si riflettono nell'opera che sta scolpendo: «Per tanti anni mi sono capita a fine scultura - ammette -. Anzi, la scultura mi ha salvata». Ma le sue creature chiedono tempo e lavoro, pensiero, fatica: «Sono molto esigenti, come me, ma senza di loro non riesco a stare. Ci vuole tempo per crearle. Settimane, mesi anche anni. Parto con un'idea ma posso cambiare quando incontro il materiale, dopo tutto è una sorta di dialogo, un percorso insieme. L'arte è sentimento, prende una forma tutta sua». Le sue figure, per lo più femminili che ambiscono a liberarsi dai lacci della materia per conquistare una dimensione altra, puntano sempre verso l'alto: «Ho sempre avuto questo desiderio di toccare il cielo - osserva -, poi la vita mi ha portato via persone care e da lì si è radicato questo desiderio di respiro. Il respiro positivo punta verso l'alto. In qualsiasi momento della nostra vita, anche il peggiore, il fatto di poter tirare su il volto, respirare e guardare in alto mi dà forza. Le mie figure sono lanciate in alto, come tanti angeli. Quello è il collegamento tra terra e cielo, un dialogo continuo di cui ho bisogno».


IL COVID

Certo, questa forma d'arte richiede energia, «ci sono momenti in cui è meglio lasciare stare, dedicarsi a disegni, dipinti o a scrivere. Altri in cui in un giorno riesco anche a scolpirne 3, perchè sono centrata. Poi però la pago, sono distrutta. Ho il vuoto dentro dopo». Il lockdown, per lei è stato difficile da vivere, «il covid mi bloccata, sentivo dentro di me il malessere generale e non capivo come miei altri colleghi riuscissero a lavorare. E lì mi sono proprio chiesta perchè scolpisco, perchè questa strada? Non la sentivo più. Poi per fortuna ho fatto altre cose per cercarmi da dentro: ho disegnato, dipinto, lo yoga, lunghe camminate. Ho cercato di coccolarmi, di cercarmi. È stato il momento più buio». Vivere del proprio lavoro, per uno scultore, è ogni giorno una scommessa, «ma finora non posso lamentarmi - chiude l'artista -: ci vivo ed è già tanto. L'importante è poter continuare a fare, divulgare pezzetti di sè, aiutare qualcuno a stare meglio. Credo molto nel bello, nel bello che parla. Quello che fa risuonare qualcosa dentro le persone: è come mettere un semino dentro che può germogliare».
 

Ultimo aggiornamento: 16 Gennaio, 10:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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