Alpini, la moglie di una "penna nera" racconta: «Macché molestie, all'Adunata io mi sono innamorata»

Sabato 14 Maggio 2022 di Camilla De Mori
L'adunata di Rimini
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UDINE - «Ce bielis alpinis!». Veronica, quelle parole, che un gruppo di alpini rivolse a lei e a sua sorella all’adunata di Bari del 1993, non le ha mai dimenticate. Non pensò neanche lontanamente a denunciare, ma ci costruì un matrimonio. Che ormai dura da 23 anni. «Mai pensato a una molestia. Allora, risposi in rima, sempre in friulano - racconta -. E oggi dico che da quel complimento è nata la mia famiglia».
Una storia d’amore nata all’ombra delle penne nere, quella fra Veronica (sorella, moglie e nuora di alpino), classe 1971, che all’epoca faceva parte della banda di Rivignano, e il marito Maurizio, che era andato in Puglia con il gruppo di Talmassons.

Ma anche una storia che racconta il confine sottile nella percezione di un approccio. «Avevo 22 anni, come le ragazzine che adesso si sentono dire “che belle ragazze” e pensano a una molestia. Per me era un complimento». Ma il clima che si respira dopo gli episodi segnalati all’adunata di Rimini è tale che, alla fine, anche Veronica chiede a cronista di non mettere il suo cognome, per evitare troppi occhi puntati addosso.

Riavvolgiamo il nastro dei ricordi. Come andò all’adunata del 1993?


«Suonavo nella banda di Rivignano. Mia sorella ed io stavamo camminando nella piazza di Bari. C’era una marea di gente e ci si avvicinò un gruppo di alpini di Talmassons, fra cui c’era quello che poi è diventato il mio attuale marito. Ci dissero, in friulano: “Che belle alpine!”. Probabilmente, erano convinti non fossimo friulane».


E lei non ha mai pensato che fosse una molestia?


«No (ride ndr). Ho risposto in rima. E in marilenghe gli ho detto: “Siete friulani anche voi?”. Loro ci sono rimasti un po’ di sale. Da lì è nata l’amicizia con Maurizio e due anni dopo ci siamo fidanzati. Io di Bertiolo, lui di Talmassons: eravamo quasi vicini di casa, ma ci siamo trovati a 1.200 chilometri».


Un confine sottile, quello fra il complimento e la molestia?


«Esatto. Ho visto che a Rimini hanno intervistato una ragazza che gestisce una piadineria, che ha raccontato che le avevano fatto dei complimenti. Poi, dipende da come uno la vede. Magari, tante volte, quello che per una è un complimento, per un’altra può sembrare un approccio aggressivo. Io dico che da quel complimento di 29 anni fa è nata la mia famiglia. Ma ho una figlia che, anche lei, non accetta di ricevere i complimenti. Probabilmente, è un pensiero legato all’età diversa».


Ha seguito molte adunate?


«Con la banda facevamo diverse adunate. In totale ho partecipato a undici raduni. Anche mio fratello è alpino, oltre a mio marito e mio suocero. Dico sempre che se avessi potuto avrei fatto anch’io l’alpino: se ci fosse stata la naja per le donne, allora, l’avrei fatta. Si leggono tanti commenti delle donne sugli alpini, ma si dimentica che anche fra gli alpini militano delle donne».


Non ha mai assistito a molestie o episodi spiacevoli?


«Mai».


Ha mai ricevuto approcci sgraditi?


«No. Ma a me possono dire, come fece quella volta il mio futuro marito, “o che belle alpine”. Non ho mai vissuto questa cosa con fastidio. C’era un clima di festa. Non ho mai visto un alpino mettere le mani addosso. Ma magari io non ho la stessa vista che hanno queste cinquecento donne che avrebbero segnalato molestie a Rimini».


Vista da fuori, le sembra una montatura, come ha detto anche il presidente Ana di Udine?


«Questo non lo so. Ma vedo un’esaltazione di qualche pensiero. Ho visto in sagra situazioni che sono peggio di quelle situazioni lì che raccontano».

Potrebbero essere state male interpretate?


«Secondo me potrebbe essere stato male interpretato quello che poteva essere un momento di festa. Ma se effettivamente ci sono state molestie verso delle donne, credo sia giusto che vengano segnalate e condannate. Quello non si discute».


Queste segnalazioni però sono una macchia per gli alpini. Cosa ne pensa?


«Secondo me questa non è una cosa che si dovrebbe riflettere sull’Arma. Gli alpini sono un’istituzione. Le racconto un episodio. In passato ho conosciuto una ragazza ammalata di tumore di 27 anni in ospedale. Il padre di lei e mio fratello conoscevano la stessa persona. Quando lei è dovuta andare a curarsi a Trento in Oncologia, durante l’adunata del 2018, la fanfara degli alpini di Palmanova, di cui fanno parte mio fratello e mio marito, è andata a suonare nel reparto in cui era ricoverata. I sanitari presenti hanno segnalato che i pazienti erano talmente contenti di avere questa decina di persone che facevano musica che per tutto il tempo che gli alpini sono stati in reparto non si è sentito suonare nessun campanello. L’anno successivo, nel 2019, mio fratello ha preso i contatti e sono andati al San Carlo nel reparto di dialisi, per fare ai pazienti un regalo musicale».


C’erano anche suo marito e suo fratello a Rimini?


«Mio marito c’era».


Ha visto qualcosa di strano?


«No, non ha visto niente. Io ho fatto 11 adunate e cose strane non ne ho viste neanch’io. A Piacenza, però, purtroppo c’erano tanti individui che non c’entravano niente con l’Arma degli alpini e purtroppo si muovevano come volevano. Non nei riguardi delle ragazze. Ma vedevi gruppi che si ubriacavano. Purtroppo, il cappello da alpino ormai lo trovi in vendita anche se non hai mai fatto l’alpino. Magari, qualche individuo che può aver fatto delle osservazioni sbagliate, ci può stare. Anche a Piacenza ho visto ragazzi giovani che bevevano male e non sapevano gestire la festa».

Ultimo aggiornamento: 17:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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