Alessandra, la ricercatrice pordenonese che ha scelto di restare in trincea contro il Coronavirus

Domenica 31 Maggio 2020 di Alberto Comisso
La ricercatrice Alessandra Zanut
PORDENONE - Se la battaglia dell’umanità contro il Covid-19 alla fine avrà esito positivo, una parte del merito sarà anche di una giovane e brillante ricercatrice pordenonese, la 33enne Alessandra Zanut. È lei la prima autrice dello studio sviluppato dal Dipartimento di chimica dell’Università di Bologna che ha appena ottenuto il prestigioso placet di “Nature Communication”, ovvero la “bibbia” del settore. Il gruppo di lavoro felsineo, coordinato da Francesco Paolucci e Giovanni Valenti, ha sviluppato una tecnica innovativa di elettrochemiluminescenza. L’applicazione scoperta dal team può permettere di ottenere esami veloci, economici e molto accurati. Naturalmente, vista la pandemia, partendo proprio da quelli che mirano a individuare la presenza nell’organismo umano del famigerato coronavirus.

«Con i dati ottenuti - racconta la villanovese, che nel frattempo dall’Emilia si è trasferita alla New York University, dove ha vinto una “Provost’s postdoctoral fellowship” - siamo riusciti a individuare tutta una serie di reagenti altamente efficienti, che permettono di portare i livelli di sensibilità sviluppati dalla nostra tecnica ben oltre la metodologia dei test oggi in uso. Utilizzando questo approccio, abbiamo ottenuto segnali di ecl che sono fino al 128% più elevati rispetto a quelli prodotti dalle tecniche attuali». Il meccanismo non è semplice da spiegare. Gli esami sierologici si basano sulla capacità di tradurre le interazioni tra alcune molecole e gli anticorpi specifici, da quantificare in una molteplicità di segnali visibili. C’è però un grosso problema da superare: nel sangue le molecole necessarie ad avviare il processo sono presenti in concentrazione molto bassa. E proprio qui interviene lo studio centrato sull’ecl, capace di generare un segnale luminoso ben misurabile partendo da uno stimolo elettrochimico. In sostanza, si “accendono” gli anticorpi come se fossero lampadine, facilitando la ricerca del virus.

«I risultati che abbiamo ottenuto permettono di stabilire un nuovo stato dell’arte nell’amplificazione del segnale per i test immunologici - puntualizza Francesco Paolucci, il docente dell’Ateneo di Bologna che ha pilotato il gruppo -. È un traguardo al quale siamo giunti dopo anni di studi a livello internazionale nel campo dell’elettrochimica e grazie a una stretta sinergia con il settore dell’applicazione industriale». Zanut, laureatasi a Trieste, ha poi ottenuto un dottorato in materia di nanotecnologie, occupandosi in particolare di biosensori per la diagnostica. Nel 2017 ha avuto un assegno di ricerca a Bologna, entrando subito nel team che da tre anni seguiva il progetto. «Sotto la guida dei due professori - aggiunge la pordenonese - abbiamo studiato il processo di generazione di questa luce in maniera innovativa. La scelta ci ha permesso di scoprire e descrivere un meccanismo altamente efficiente di generazione dei segnali luminosi, che porta a un forte aumento di sensibilità della tecnica stessa, permettendo quindi di identificare concentrazioni di anticorpi molto basse». Scoperte ora utilizzate nei test sierologici sviluppati da Roche. «Per me - sottolinea - è stata un’esperienza altamente formativa. Nella mia breve carriera ho lavorato sempre con scienziati provenienti da differenti background: fisici, chimici, ingegneri. Interagire con diverse branche del sapere non è facile, però sono convinta che proprio la contaminazione e l’inclusione in ogni campo, scientifico o meno, siano il segreto per crescere e migliorare».
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