West Nile, il virologo Palù: «Circolerà fino a Settembre e prevediamo un aumento dei casi». Come si trasmette e il rischio encefalite: cosa c'è da sapere

Venerdì 5 Agosto 2022 di Elisa Fais
West Nile, il virologo Palù: «Circolerà fino a Settembre e prevediamo un aumento dei casi»
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PADOVA - «C'è da aspettarsi un progressivo ampliamento del focolaio endemico di West Nile perché il periodo d'incidenza di questa arbovirosi si estende fino a settembre». A dirlo è il professor Giorgio Palù, virologo di fama internazionale e presidente dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa). In Veneto prosegue l'emergenza legata alla cosiddetta febbre del Nilo Occidentale. Il Padovano è uno dei territori più colpiti: da fine giugno ad oggi, il dipartimento di Prevenzione dell'Ulss 6 registra 62 casi accertati.


Professor Palù siamo davanti a un quadro allarmante?
«Al 27 luglio l'Ecdc (European center for disease prevention and control di Stoccolma, ndr) aveva segnalato 37 casi umani di infezione da West Nile virus distribuiti tra Italia (la maggior parte), Grecia, Slovacchia e Serbia. Numeri questi anche al di sotto di quelli segnalati nelle precedenti estati, epoca di diffusione dell'infezione zoonotica che ha per ospite-serbatoio gli uccelli e per vettore le comuni zanzare. Il recente incremento di casi in provincia di Padova fa pensare ad un focolaio di maggior distribuzione virale. Si tratta di un'infezione che nell'uomo e nel cavallo, altro ospite occasionale, è per circa l'80% asintomatica e nel 20% si manifesta con sintomi simil-influenzali. L'encefalite è rara, al di sotto dell'1% dei casi».

Come si trasmette il visur West Nile

Va ricordato che non si tratta di malattia contagiosa in quanto l'infezione non si diffonde da soggetto infettato a soggetto sano neanche attraverso il morso di una zanzara Culex, data la bassa viremia, fenomeno questo che rende l'uomo, come il cavallo, un ospite finale e occasionale».


Che ruolo hanno cambiamento climatico e siccità?
«L'estate è il periodo di riproduzione delle zanzare, che hanno vita di poche settimane e areale di qualche centinaio di metri.

Depositano le uova in ambiente acquoso, pozze di irrigazione, risorgive, rive di fiumi e ruscelli, acque di scolo, piccoli ristagni idrici. Si tratta di condizioni ambientali particolarmente presenti nelle campagne del nostro territorio, che vede altresì la foce di grandi fiumi interessati dalle rotte migratorie di molte specie di uccelli».


Come proteggersi?
«Per West Nile virus non abbiamo ancora un vaccino validato per uso umano né antivirali specifici. Quindi dobbiamo basarci sulla prevenzione e sulla sorveglianza virologica di tipo one-health, indagando non solo i casi umani ma monitorando anche l'ambiente: le zanzare con trappole e gli animali sentinella (uccelli, cavalli) con campionamenti seriali».


Quanto manca al vaccino?
«Esiste un vaccino di provata efficacia per i cavalli basato su virus ucciso. Per quanto riguarda l'uomo, il mio gruppo di ricerca, grazie ad un progetto collaborativo europeo, aveva già sviluppato intorno al 2014 un vaccino anti-Wnv. Questo era costituito dalla glicoproteina E ricombinante di superficie, da un adiuvante naturale e da nanoparticelle per il rilascio. Il vaccino, che si era rivelato efficace nel proteggere le scimmie dall'infezione, non aveva però incontrato l'interesse dell'industria farmaceutica a produrlo su larga scala e saggiarlo sull'uomo. Il problema di produrre vaccini anti-Wnv non sta certo nella tecnologia (oggi molto evoluta) né nella variabilità dei diversi lignaggi virali. Il fattore determinante è la mancata motivazione economica dell'industria che trae origine, su scala globale, dai numeri ridotti di casi che interessano l'uomo e dalla scarsa patogenicità dell'infezione».


Lei è stato il primo a isolare il virus in Italia.
«Il mio laboratorio aveva isolato nel 2008, per la prima volta nell'uomo in Italia, il virus West Nile proveniente da un campione di un donatore di sangue della provincia di Rovigo. Il ceppo, sequenziato e caratterizzato dal punto di vista virologico, venne battezzato Po. Negli anni successivi isolammo ed identificammo i ceppi Piave e Livenza e le prime introduzioni di West Nile virus lignaggio 2. Ricordo ancora con piacere alcune iniziative di cui fui promotore e partecipe: l'avvio della collaborazione con la Regione Veneto e l'Istituto Zooprofilattico delle Venezie per il monitoraggio del virus; l'interazione con i principali gruppi internazionali di arbovirologi che sfociò in alcune ricerche di rilievo, nella produzione di un vaccino e nella promozione di miei allievi in ambito Europeo; l'organizzazione di convegni scientifici sul tema. Ma non furono solo gratificazioni».


Cioè?
«Devo ricordare anche il tentativo, ahimè fallito, di convincere le istituzioni ad installare a Padova un laboratorio di alta protezione con l'avvio di un Centro di ricerca virologica ed epidemiologica aperto ai ricercatori dei Paesi dell'Est. Il centro si sarebbe dovuto occupare dello studio di agenti virali ad alta patogenicità già circolanti nei Balcani, quali il virus della febbre emorragica Crimea Congo e virus Dengue con diffusione planetaria, che colpisce ogni anno 50-100 milioni di soggetti e per il quale il vaccino esistente è scarsamente efficace. Si trattava anche di prepararsi ante litteram a più che probabili minacce di natura infettiva con caratteristiche epidemiche e pandemiche».

Ultimo aggiornamento: 16:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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