Intervista a Walter Ferrulli, l'avvocato con la passione per il Gospel

Lunedì 6 Giugno 2022 di Edoardo Pittalis
Intervista a Walter Ferrulli, l'avvocato con la passione per il Gospel

PADOVA - Di mestiere Walter Ferrulli fa l'avvocato a Padova, specializzato in infortunistica stradale. «Sono nato come penalista, ma dopo il primo incarico ho capito che era meglio cambiare».

La sua passione vera, però, è la musica: dirige il coro gospel forse più grande d'Italia, il Summertime. Centinaia di coristi che si esibiscono da molti anni in teatri e piazze e davanti alla tv. «Hanno tutti un legame è come se fossero marchiati a fuoco. Il coro ha accompagnato la mia vita, le ha dato una colonna sonora». Ferrulli, 52 anni, è nato a Firenze perché il padre, liquidatore di compagnie di assicurazione, era continuamente in giro per l'Italia.


Come è arrivato a Padova e alla musica?
«Mio papà Giuseppe si trasferiva per lavoro da Gravina di Bari a Milano, a Genova e poi a Firenze, dove sono nato e cresciuto fino a quando siamo venuti a Padova. Da allora non mi sono mosso, avevo dieci anni, ho abitato sempre in via Turazza, era tutto diverso, più vivibile: noi bambini giocavamo a tennis nella strada, attaccavamo la rete da un albero all'altro e la staccavamo appena da lontano si sentiva un'auto arrivare. L'inizio è casuale: un amico di mio fratello viene a casa, mi sente suonare il pianoforte e mi invita a sentire le prove del coro Summertime appena nato. Era il 1990, vado per curiosità alle prove del coro composto da una ventina di persone e finisco immediatamente per innamorarmi del canto gospel. In quel momento è nata la mia storia nel coro».


Ma non si è limitato a far parte del coro
«Stando dentro ero insofferente ai ruoli fissi, avevo voglia di sperimentazione: da corista sono passato strumentista dopo aver studiato i brani per tastiere e pianoforte. Mi sono anche sperimentato nei ruoli di rapper, un genere allora all'inizio. Poi, tutto è stato abbastanza naturale, il direttore aveva deciso di andare via e mi hanno chiesto di provare a sostituirlo. Non avevo nessuna esperienza, ma mi sono accorto che, sul palco, in quel ruolo ero molto sereno. Ho incominciato a cambiare lo spettacolo, a farne qualcosa di diverso da un semplice concerto gospel. In quegli anni il fenomeno gospel si era diffuso rapidamente perché alcuni coristi si erano staccati e avevano creato nuovi cori. All'inizio facevamo le prove nel patronato di Santa Rita vicino al Santo, per cinque anni siamo stati ospitati allo Stadio Euganeo in uno spazio concesso dall'assessore allo sport. Oggi siamo a Peraga di Vigonza in locali nostri».


Come funziona il Summertime?
«C'è un coro per ogni età: i bambini da 6 ai 10 anni, quelli dagli 11 ai 14, poi un laboratorio dai 15 ai vent'anni. Da lì chi vuole continuare fa un provino per passare col coro che fa concerti e tour. Ora abbiamo creato anche il gruppo di canto over 40, composto quasi interamente dai genitori dei bambini che col tempo si sono appassionati. Ci sono centinaia di partecipanti tra big, giovani e giovanissimi. Prima della pandemia si facevano almeno trenta grandi concerti all'anno, tra teatri e piazze. Piano piano stiamo fortunatamente tornando a una certa normalità. Abbiamo incominciato nei Palasport e con molte serate al PalaGeox dove l'ambiente consente di fare anche cose più complesse. Per il numero di spettatori sempre in crescita abbiamo dovuto, infatti, cercare spazi sempre più adeguati: questa realtà di Summertime è diventata molto più grande delle nostre intenzioni. Rimaniamo tutti dilettanti per una decisione presa trent'anni fa: nessuno può percepire denaro. La moneta di scambio offerta è l'esperienza di vita che è meravigliosa, a me ha cambiato la vita. C'è un rimborso spese, le spese reali sono rappresentate dai trasporti e dal service».


Un vero e proprio lavoro, come fate?
«Richiede fatica, si prova tanto specie da settembre a dicembre, quando si prepara il nuovo tour. Oggi sei facilitato dai mezzi tecnici che consentono lo scambio di informazioni e anche di lavorare da casa, come abbiamo imparato durante la pandemia. Quanto ai concerti, ricordo come irripetibile quello che nel 2006 abbiamo fatto al Santo per raccogliere fondi per lo Iov di Padova. Si trattava di un concerto poco reclamizzato, ma poco prima dell'inizio ci hanno avvertito che davanti alla Basilica c'era un assembramento anomalo e, infatti, quando hanno aperto le porte sono entrati 6000 spettatori! Non vi voglio mai più vedere qua dentro, fate il concerto e sparite: ci disse scherzando il rettore, ma di fatto non abbiamo più ripetuto un evento al Santo. E come dimenticare le quattro volte in cui siamo stati a Roma, in aula Nervi in Vaticano, per concerti ripresi dalla Rai e da Canale 5. Per un'edizione particolare abbiamo cantato un brano scritto da me e suonato dall'orchestra della Rai. Il primo anno Papa Giovanni Paolo II venne in carrozzina a salutarci. Per una decina di anni ci siamo esibiti al Palazzetto dello Sport di San Lazzaro, dove gioca la squadra di volley: 4.000 spettatori e vederteli davanti e così vicini è una cosa che fa impressione. Siamo stati anche a Montecarlo e a Bratislava nel Lumen Festival che è il festival gospel più importante d'Europa. Ricordo un concerto di Capodanno a Ferrara davanti a 50 mila persone!».


La pandemia ha interrotto anche molti vostri sogni?
«Certo ci ha frenato, come tutti: per noi, poi, si trattava di mettere sul palco centinaia di persone e già questo costituiva un problema straordinario. Il concerto più difficile è stato quello del 26 dicembre del 2021. Eravamo al PalaGeox e solo grazie alla spinta determinante di Valeria Arzenton, in piena pandemia e nel primo giorno in cui c'era obbligo di mascherina. Nei giorni precedenti era successo di tutto: il bassista è risultato positivo e lo abbiamo dovuto sostituire al volo; la mattina dello show mi chiama Pippo di Marco e Pippo, il gruppo comico che doveva essere la sorpresa della serata, altro contagio e altra defezione. Una grossa parte dello spettacolo era costruita attorno a loro, avevamo anche un clown. C'era un ospite olandese, David Dam, un cantante bravissimo che era partito da Amsterdam a metà mattina e l'ho conosciuto all'arrivo, alle tre del pomeriggio: non ricordava nulla della sua parte! Ho iniziato guardando i fogli della scaletta che avevo sistemato per terra, solo così speravo che mi venissero le idee. Camminavamo su un filo come gli acrobati in equilibrio su una traccia sempre variabile. Alla fine è andata bene. Era un concerto per raccogliere fondi a favore dell'Avis e del Cuamm, medici per l'Africa».


Perché proprio il Gospel?
«Dico la verità, a me piace molto. Credo che come realtà corale la musica gospel sia ancora la più coinvolgente, innovativa, genuina: è istintiva, emozionale. Per il moderno ci ha ispirato in particolare il musicista americano Kirk Franklin il cui gospel sfocia anche nell'hip hop. Del repertorio classico conserviamo alcuni brani ma solo quando ci esibiamo nelle chiese, il concerto in chiesa è diverso, più legato alla tradizione del gospel e dello spiritual. In teatro si fa molto pop, si fanno i brani nuovi e abbiamo con noi molti artisti stranieri, come l'americano Paul che ha cantato con Alisha. Questa è anche una scuola di talenti: collaboriamo con Chiara Gallana, il suo nome d'arte di Aba lo ha inventato Elio delle Storie Tese nelle finali di X Factor».


E adesso cosa canterete?
«A settembre faremo partire Idee, un contenitore di attività artistiche e culturali che muovendo dallo studio della musica e del canto corale consente esperimenti a tutto campo. Il prossimo grande evento sarà il 20 novembre al Gran Teatro Geox, presenteremo il nostro nuovo show dal titolo Smile col quale inizieremo il nuovo tour dei grandi teatri italiani, con ospiti anche internazionali. Sarà la 33° stagione artistica dei Summertime».

Ultimo aggiornamento: 16:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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