Ustica 40 anni dopo, parlano i figli dei coniugi Lachina: «Tanta rabbia, ma è chiaro come andò»

Venerdì 26 Giugno 2020 di Eugenio Garzotto
Elisabetta Lachina, figlia di Giuseppe e Giulia. I resti assemblati dell'aereo colpito sono ancora in un capannone
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MONTEGROTTO - Ottantuno morti che da quarant'anni reclamano verità e giustizia. Sono le vittime della strage di Ustica che oggi verranno commemorate in una cerimonia pubblica a Montegrotto. La città termale piange infatti due dei passeggeri del DC9 IH870 dell'Itavia inabissatosi il 27 giugno 1980 nelle acque del Tirreno: Giuseppe Lachina e la moglie Giulia Reina, di 57 e 50 anni. A loro nel 2010 è stata intitolata la via, a poca distanza dal palazzetto dello sport, dove un monumento riproduce la cabina di pilotaggio di un aereo di linea. Sarà quello il luogo dell'evento (inizio alle 18) nel corso del quale verranno liberati in cielo ottantuno palloncini bianchi. Sarà presente anche il sassofonista padovano Flavio Bordin, in arte Flaviosax, che suonerà l'aria Nessun dorma dalla Turandot di Puccini, la preferita da Giuseppe Lachina che la canticchiava di continuo. I coniugi Lachina lasciarono quattro figli: Riccardo, Elisabetta, Rosalinda e Ivano. Da quel giorno la loro è stata una vita segnata dal dolore e dalla costante ricerca della verità. «E anche da una grande rabbia - dichiara oggi Riccardo -, provocata dai depistaggi, dalla disinformazione, dalle coperture che subito sono scattate su questa vicenda». 

SCENARIO CHIARO
Per i figli della coppia, lo scenario è chiaro. «Un'operazione condotta da forze, diciamo così, internazionali per eliminare il colonnello Gheddafi, che viaggiava sull'aereo di Stato libico - continua Lachina -. Era probabilmente il suo apparecchio quello che si è avvicinato al DC9 per cercare di nascondersi agli aggressori. Il volo dell'Itavia (decollato dall'aeroporto di Bologna con due ore di ritardo, ndr) si è trovato nella stessa situazione del passante che finisce in mezzo a una sparatoria e viene colpito per errore da un proiettile vagante». «Cioè il missile lanciato da uno dei ventuno aerei che, in quel momento, si trovavano nelle sue vicinanze - interviene la sorella Elisabetta -. Le nostre non sono elucubrazioni in libertà, bensì il convincimento che ci siamo fatti dopo aver seguito tutte le indagini, per prima la minuziosa inchiesta del giudice Rosario Priore». Quella che viene respinta senza esitazioni è la prima teoria avanzata: la bomba piazzata a bordo. «Mi stupisco che vi sia ancora qualcuno che ci creda - afferma Riccardo Lachina -. Secondo questo scenario, l'ordigno sarebbe stato collocato nella toilette dell'aereo. Ma quanto sono stati recuperati i resti del DC9, è stata trovata praticamente intatta».

MISTERO CHE RESTA
Ma quale bandiera batteva quel missile? Francese? Americana? La Libia e il Ciad, sostenuto dall'Eliseo, all'epoca si stavano fronteggiando nel Sahara per il controllo di un'area strategica; gli Usa avevano messo il colonnello nella lista nera di sponsor del terrorismo internazionale.
«Questo probabilmente resterà un mistero - conclude Elisabetta Lachina -. Ma penso che se i responsabili avessero ammesso subito il loro tragico errore, costato ottantuno morti, ci saremmo tutti risparmiati questi anni di angoscia». E di rabbia. Tanta rabbia.

 
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