Telmo Pievani: «Vi racconto la scienza sfruttando la comicità»

Lunedì 7 Novembre 2022 di Edoardo Pittalis
Telmo Pievani e Marco Paolini

Pievani a che punto è il mondo?
«Siamo in una tempesta perfetta.

Si stanno unendo tante crisi: quella climatica che sta peggiorando sempre di più; quella pandemica, ampiamente prevista, si sapeva che il virus faceva un salto nei disastri dell'ambiente; la guerra e l'instabilità geopolitica sono connesse. Poi, se continuiamo a usare risorse non rinnovabili queste aumenteranno di prezzo. Siamo dentro una fase in cui manca la lungimiranza: si devono prendere decisioni politiche i cui effetti non saranno goduti in questa legislatura, ma tra dieci, quindici anni. La politica non riesce più a dare una visione di società: ora si passa solo a riscuotere il consenso di settimana in settimana».


Telmo Pievani, 52 anni, bergamasco, insegna a Padova filosofia delle scienze biologiche, una materia oggi attualissima. È della scuola Evoluzionista, studia i processi dei cambiamenti, in particolare le migrazioni umane. «Siamo tutti migranti da sempre ed è stata la nostra fortuna». Racconta la terra in una maniera diversa, sul palcoscenico, con attori, con musicisti.
Con Marco Paolini ha presentato in Rai La fabbrica del mondo. L'altro giorno si è tolto una bella soddisfazione. Lo ha chiamato la Normale di Pisa per tenere la prolusione all'anno accademico: «Sono salito sul palco e ho iniziato raccontando che nel 1989 avevo chiesto l'iscrizione a Pisa, ma non mi avevano accettato». Sposato con Cinzia, tre figli: Giulia, Luca e Leonardo. Un passato agonistico da buon giocatore di squash, grande tifoso dell'Atalanta. A Padova è arrivato dieci anni fa, preceduto da un nome insolito.


È difficile portarsi questo nome, Telmo?
«Per la verità, tutto completo è Dietelmo, di origine tedesca: il bisnonno chiamò così un figlio per una scommessa persa e a ogni generazione c'è un Telmo in famiglia. C'era il fratello di mio papà, scultore, scomparso due anni fa, poi è toccato a me. Mia mamma Katia ha insegnato inglese per una vita. Papà Bruno è morto nel 2020 proprio all'inizio della pandemia, come mio fratello maggiore e come lo zio, quello è stato il nostro annus horribilis. Mio padre era un imprenditore e ha fatto una brillante carriera politica, è stato anche assessore regionale all'Ambiente. Era uno dei leader del Psi in Lombardia, braccio destro di Riccardo Lombardi, ma con l'avvento di Craxi è uscito deluso e sconfitto. Andavo alle feste dell'Avanti, non c'è più questo respiro politico, mi manca molto. Papà diceva che preferiva certi vecchi democristiani che aveva combattuto per tutta la vita a quelli che vedeva in circolazione dopo Mani Pulite. Lui era il patriarca della famiglia, noi eravamo cinque figli, nessuno di noi ha fatto politica. Era laureato in fisica e rappresentava il lato razionale della famiglia, lo zio artista quello folle».


E il giovane Telmo come è finito a studiare l'uomo e la natura?
«Ho fatto due anni in Fisica per accorgermi che quello non era il mio mestiere e sono andato a Milano da Giulio Giorello a studiare filosofia della scienza. Così ho scoperto gli Evoluzionisti e Giorello mi ha mandato a studiare negli Usa alla scuola degli evoluzionisti, sei anni avanti e indietro. Sono rientrato nel 2001 e sono stato molto fortunato, quell'anno a Milano nasceva la Bicocca, uno sdoppiamento della Statale, e si aprivano porte: ho vinto il concorso da ricercatore, era un'università nuova, non c'erano baroni. Ci sono rimasto fino al 2012, quando mi ha chiamato l'università di Padova ed è stata una grande occasione, accademicamente innovativa: non da filosofo, ma in un dipartimento di Biologia per fare il filosofo della biologia a contatto con scienziati. Quando sono arrivato si stava facendo la parte nuova dell'Orto Botanico e l'allora rettore Zaccaria mi coinvolse nella realizzazione del Giardino della Biodiversità, poi inaugurato nel settembre del 2014. Da lì è incominciata una storia fino all'avventura delle manifestazioni per gli 800 anni del Bo'. Il prossimo anno, a febbraio, apriremo un nuovo museo dentro l'Orto Botanico con le nostre piante e in maggio il museo della Natura dell'Uomo, davanti agli Scrovegni, una grande esposizione scientifica con le collezioni storiche».


Gli studenti come si avvicinano alla novità?
«Ho una classe mista: prevalenza di biologi, ma vengono anche tanti filosofi curiosi e anche storici. I biologi imparano un po' di filosofia e i filosofi un po' di biologia evoluzionista, soprattutto imparano non solo a essere bravi tecnici, ma scienziati che si fanno le domande giuste. Diamo anche le basi della comunicazione della scienza: un corso nel quale spieghiamo come si comunica in televisione, in radio, in internet; e come si scrive un articolo. La pandemia da questo punto di vista è stata uno choc pazzesco, non era mai successo di avere gli scienziati in tv dalla mattina alla sera».


Cosa pensa della scienza in televisione?
«Bisogna farla davvero bene, perché la televisione ha regole di comunicazione difficilmente compatibili con la scienza: dalla semplificazione alla drammatizzazione. Viceversa, se non sei schiavo delle regole degli altri ma costruisci formule nuove, allora quella è una grande opportunità. Lo abbiamo fatto con Marco Paolini. Dico che finora si è fatta scienza predicando ai convertiti, a un pubblico che ti ha già scelto; la tv invece ha una capacità di penetrazione su un pubblico vastissimo. Ho due progetti: uno con la Banda Osiris, parlo di ambiente e sostenibilità e loro interpretano musicalmente i temi in chiave comica. Il pubblico esce divertito. L'altro progetto è con i Deproducers per sensibilizzare sulla raccolta dei fondi per la ricerca sul cancro: racconto la storia delle mutazioni genetiche e il racconto è alternato a video e a brani musicali scritti per lo spettacolo. Il pubblico entra nel gioco».


Lei dice che siamo tutti migranti: è davvero così?
«Tutti gli esseri umani derivano dalla popolazione africana; tutti gli homo sapiens da quel piccolo gruppo di 60 mila persone venute dall'Africa intorno a 80 mila anni fa. Da lì si sono diffusi nel mondo, disseminandosi in culture e popoli diversi. Questo è il motivo per cui non si usa più la parola razza umana: non c'è stato il tempo per differenziarsi geneticamente in razze e non abbiamo mai smesso di migrare. Migrare è l'adattamento più importante della popolazione e il cambiamento climatico è il principale motore delle migrazioni. Oggi accade la stessa cosa, con la differenza che il cambiamento è causato dai comportamenti umani. Secondo studi dell'Onu, a metà del Duemila oltre 200 milioni di persone dovranno lasciare il loro paese per riscaldamento globale».


Ma se non ci sono le razze, perché ci sono i razzisti?
«Il paradosso è che le razze umane non esistono, ma il razzismo sì: simili a noi, ma diversi da noi. Il nostro cervello ha una forte predisposizione al razzismo. Basta pensare al web, al digitale: anche lì si sono riprodotte le tribù: la tua comunità, quelli che la pensano come te, persone che confermano i tuoi pregiudizi. È un contesto ipertecnologico, modernissimo, ma vive in un tribalismo digitale dominato dall'appiattimento senza competenze».


Lei scrive tanto, vanta centinaia di pubblicazioni...
«Ho pubblicato tantissimo, ma ammetto di essere stato molto fortunato perché ho avuto le occasioni giuste al momento giusto. Scrivere è una droga per me, mi è sempre piaciuto fin dal liceo, scrivere un libro è il vero modo che hai per studiare, un privilegio. Con Marco Paolini ci scambiamo le storie che scriviamo, le leggiamo a vicenda: il momento della scrittura della Fabbrica del mondo è stato bellissimo. Ho appena pubblicato un libro sulla Serendipità, quando tu stai cercando qualcosa e trovi tutt'altro nella vita. Nella scienza succede quasi sempre, le più grandi scoperte spesso sono nate così.
 

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