​Affidabilità e uso dei tamponi. Il pm scava sui mesi più neri

Giovedì 29 Aprile 2021 di Luca Ingegneri
Affidabilità e uso dei tamponi. Il pm scava sui mesi più neri

PADOVA - Al quarto piano del Palazzo di giustizia di Padova la consegna è quella del silenzio. Dell'inchiesta si stanno occupando i militari della Guardia di finanza, rimasti chiusi per un paio d'ore ieri mattina nell'ufficio del sostituto procuratore Benedetto Roberti, che coordina l'indagine sulla affidabilità dei test rapidi Abbott, quelli utilizzati durante la fase più dura della pandemia in Veneto - nell'autunno dello scorso anno - e finiti al centro dello studio del professor Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia dell'università di Padova.
Gli investigatori delle Fiamme gialle stanno cercando di accertare se i tamponi rapidi possano aver fornito una percentuale di falsi negativi più alta di quella promessa e indicata dalla casa produttrice, favorendo la circolazione, soprattutto nelle Rsa, di sanitari e personale che in realtà potevano non essere negativi al virus. Qualora quest'indicazione trovasse conferma andrebbe riletta sotto una luce diversa la seconda ondata di contagi che aveva fatto precipitare il Veneto in una nuova emergenza. Nessun commento dal procuratore Antonino Cappelleri. A denti stretti si limita a dire che quanto trapelato nelle ultime ore rappresenta un grave danno al lavoro degli inquirenti. L'indagine sull'efficacia dei tamponi rapidi avrebbe dovuto svilupparsi nel più assoluto riserbo. Ora invece alcune delicate attività di polizia giudiziaria rischiano di interrompersi. In particolare la Procura potrebbe essere costretta a rinunciare ad intercettazioni telefoniche da cui avrebbe potuto ricavare indicazioni importanti.


I RAPPORTI

Gli inquirenti sarebbero impegnati a fare luce sui rapporti tra la dirigenza di Azienda Zero e i vertici delle case farmaceutiche che hanno assicurato da settembre la fornitura dei test rapidi, utilizzati anche dal governo italiano e sviluppati in molte parti del mondo.

L'inchiesta, in cui si ipotizza il reato di frode in pubbliche forniture, al momento senza iscritti sul registro degli indagati, ruota proprio attorno ai produttori. Qual era l'affidabilità dei test antigenici? E perché sono stati utilizzati? E in quale modo? Nella maniera corretta? Qualcuno li ha proposti (e altri li hanno utilizzati) pur conoscendone i limiti? Per ora sono solo sospetti anche se alcuni addetti ai lavori in ambito universitario e ospedaliero, sentiti come persone informate sui fatti, avrebbero confermato di nutrire seri dubbi sull'effettiva efficacia dei test antigenici rapidi.


GLI ESPERTI

Tra gli esperti interrogati dalla Finanza c'è anche il microbiologo dell'Università di Padova, Andrea Crisanti, autore del primo studio che evidenziava la scarsa sensibilità del prodotto. Dall'ottobre scorso continua a ripetere che i test rapidi utilizzati in Veneto per il tracciamento del Coronavirus non individuano tre positivi ogni dieci, con una percentuale di falsi negativi che si attesta intorno al 30 per cento. Secondo Crisanti questi prodotti, recentemente superati da quelli di terza generazione, ritenuti più affidabili, non sarebbero in grado neppure di rilevare alcune forme mutate del virus. Per il microbiologo l'utilizzo di massa dei tamponi rapidi potrebbe avere involontariamente favorito la diffusione di varianti non rilevabili, contribuendo alla loro libera circolazione e all'inefficacia del loro contenimento. Soltanto attraverso uno studio di laboratorio, affidato ad un pool di esperti, la Procura potrà definire con precisione il grado di affidabilità ed efficacia di questi test.

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Ultimo aggiornamento: 10:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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