Il Pm: 7 anni all'operaio per lo stupro alla disabile pensato tra amici al bar

Giovedì 15 Aprile 2021 di Marco Aldighieri
foto di repertorio

FONTANIVA - La richiesta di condanna, formulata ieri dal pubblico ministero Giorgio Falcone davanti ai giudici del Tribunale collegiale, è pesante: sette anni e sei mesi per l'operaio Enrico Mabiglia di 32 anni. La lettura della sentenza è prevista per il prossimo 21 di aprile. L'imputato è accusato di violenza sessuale, lesioni personali e violazione di domicilio ai danni di una donna disabile di 55 anni, deceduta nel settembre del 2017. 


I FATTI

La spedizione, secondo l'accusa, è stata organizzata il 25 settembre del 2015 durante una conversazione tra amici al bar, tra un bicchiere e l'altro. L'operaio avrebbe appreso in quel frangente della disponibilità della donna a rapporti sessuali a domicilio a prezzi modici. Al bar era risaputo che la donna si concedeva per soldi, un'accusa infamante e tutta da dimostrare, ma che girava in alcuni ambienti di Fontaniva. E parte di questa conversazione nel locale tra Mabiglia e alcuni amici è stata immortalata da alcune telecamere interne del pub. L'operaio ha così deciso, sempre per l'accusa, di andarsi a divertire e uno degli amici lo ha accompagnato a casa della 55enne, ma non ha mai varcato la soglia di quell'appartamento lasciando l'iniziativa al 32enne.

E secondo l'accusa Mabiglia ha minacciato la disabile di sfondare la porta nel caso lei non gli avesse aperto. Una volta entrato, l'ha spogliata con forza e scaraventata sul letto, poi le ha abbassato i pantaloni per abusare di lei. La 55enne ha cercato di fermarlo, di spingerlo via con le braccia e l'ha inutilmente implorato di lasciarla stare. Tutto inutile. Lo stupro, ancora per l'accusa, è durato una decina di minuti e poi l'operaio se ne è andato lasciandola ferita e in lacrime.


LE INDAGINI

La donna, disperata, ha raggiunto il pronto soccorso e qui i medici, dopo averla visitata, sono stati costretti a sottoporla a un intervento chirurgico. La 55enne era una persona debole e fragile, con un vissuto tormentato alle spalle. Era assistita dai Servizi sociali del Comune, ai quali si è rivolta dopo lo stupro, e sono state proprio le assistenti sociali a convincerla ad andare a sporgere denuncia dai carabinieri. A incastrare l'operaio, ancora per l'accusa, è stato il suo Dna trovato dai carabinieri del Ris di Parma sulle lenzuola con diverse macchie di sangue della camera da letto della vittima e su una sigaretta, ritrovata nella casa della 55enne. Adesso i fratelli della donna, affiancati dall'avvocato Paola Porzio, attendono giustizia. 
 

Ultimo aggiornamento: 13:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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