Medici: fuga dei giovani dai reparti d'emergenza, Pronto Soccorso e Rianimazione

Sabato 26 Febbraio 2022 di Elisa Fais
Le specialità di emergenza sono state sotto fortissima pressione e le nuove leve le evitano
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PADOVA - Neppure due anni d’emergenza sanitaria hanno convinto i giovani medici a scegliere di lavorare nei Pronto soccorso e nei reparti di Rianimazione. Molti aspiranti dottori hanno detto “no” a due specialità che, oltre a essere state fondamentali per limitare i danni della pandemia e salvare migliaia di vite, da sempre richiedono coraggio e determinazione.
 

NUMERI
Davanti a scarsi riconoscimenti e a un futuro incerto, più di qualche camice bianco si è girato dall’altra parte e ha deciso di percorrere strade diverse. I numeri parlano chiaro. Quest’anno su 92 posti di specializzazione nella branca di Anestesia, rianimazione e terapia intensiva attivati a Padova, le immatricolazioni sono state 78. Su 67 borse di studio ministeriali previste in Medicina d’emergenza-urgenza ne sono state sfruttate appena una trentina. Non sono stati assegnati oltre cinquanta posti nelle due discipline che già soffrono una cronica carenza d’organico nel sistema ospedaliero padovano. Il problema si estende anche alle scuole delle professioni sanitarie, dove molti studenti abbandonano al primo anno.
 

IL FENOMENO
A lanciare l’allarme è il professor Stefano Merigliano, presidente della Scuola di medicina di Padova, che chiede alle istituzioni locali e al Governo di mettere in campo una programmazione a lungo termine per riqualificare l’intero sistema formativo della sanità.
«Se si guardasse al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e agli ospedali di comunità in procinto di nascere, potrebbero servire fino a tremila nuovi infermieri – spiega Merigliano – Fino all’anno scorso la Regione ne chiedeva a Padova 800. Non è così scontato che la capacità formativa possa passare da 800 a tremila unità. Per questo serve costruire un piano di medio e lungo periodo: c’è bisogno di investire, di trovare docenti, formare i tutor, accreditare le strutture, avere aule, mense e così via. Altrimenti creiamo solo zombie che vagano per i corridoi, senza nessuno che insegni loro davvero il mestiere. Lo stesso principio vale per i medici. Con l’aggravante che, in campo medico, molte professioni non sono più appetibili: in primis Anestesia ed Emergenza-urgenza».
L’ITER
Ogni anno, in questo periodo, la Regione Veneto fa una previsione del numero di professionisti della sanità da formare, dal medico all’infermiere, assieme alle due università di Padova e Verona. La richiesta viene poi trasmessa al Ministero.
«Non è un percorso banale – sottolinea Merigliano – Se si cerca di raddrizzare un albero in un giorno, quell’albero si spezzerà. Già l’anno scorso sono stati aumentati del 20% i posti in Scienze infermieristiche e quasi tutte le altre specialità». È quindi un cortocircuito.
LA CORSA AI RIPARI
Mentre decine di borse di studio sono rimaste senza titolare, all’Ulss 6 Euganea si cercano disperatamente anestesisti e medici per il pronto soccorso. In una delibera di pochi giorni fa si legge: “Si prende atto che gli avvisi pubblici, a tempo determinato, nei profili dirigente medico nella disciplina di Anestesia e rianimazione e di dirigente medico nella disciplina di Medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza sono andati deserti”. Parole lapidarie, che non lasciano spazio a dubbi sull’entità del problema.
E ora, per coprire i posti di lavoro vacanti, scatta il bando per prestazioni a chiamata in libera professione, pagate 930 euro lordi a turno. Tra le motivazioni del piano B varato dall’Ulss si legge che “permane una situazione di notevole criticità, sia per la grave carenza di personale dipendente, sia per la difficoltà di reclutare medici specialisti attraverso le ordinarie procedure di assunzione, con il rischio di allungare ulteriormente le liste d’attesa e di incorrere nell’improvvisa interruzione dei pubblici servizi».
LE MOTIVAZIONI
È ormai da qualche anno che al momento di scegliere la specializzazione i giovani medici preferiscono settori come Cardiologia, Oftalmologia, Otorinolaringoiatria, insomma professioni per lo più ambulatoriali, lontane dalla frenesia di quelle in emergenza. «Il contratto nazionale dice che qualunque dirigente medico è pagato allo stesso modo – ammette il professor Stefano Merigliano – E allora ecco che un neolaureato preferisce fare l’oculista piuttosto che il medico di pronto soccorso, trovandosi poi a lavorare di notte e a dover gestire casi delicati, magari come pazienti tossicodipendenti difficili da gestire, o persone con gravi traumi e lesioni. Il tutto senza contare che poi magari si rischia anche una denuncia». La posizione è chiara. «Gli anestesisti hanno lavorato dando il tutto per tutto in questi due anni di pandemia, devono avere lo stesso stipendio di qualunque altro medico? – conclude il direttore della Scuola di medicina padovana – Io non credo. O si mette mano alle remunerazioni, alle indennità di rischio e di disagio, alle professionalità, oppure non si andrà lontano. Possiamo anche scrivere il libro dei sogni, ma poi per realizzarli serve concretezza».

 

Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 10:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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