Antonio Cavallin: «Una squadra di rugby per ricordare mio figlio». E uno dei suoi ragazzi approda in Nazionale

Mercoledì 22 Febbraio 2023 di Alberto Zuccato
Antonio Cavallin

PADOVAAntonio Cavallin, fondatore e presidente del “Checco Camposampiero”, ha nel cuore e nella testa quel giorno di aprile del 2007 che ha cambiato la sua esistenza. Il giorno della scomparsa di suo figlio Francesco a causa di una malattia. «Dovevo reagire – racconta – ho altri 3 figli, due femmine, Vittoria e Caterina, e un maschio, Attilio, che stava per terminare la scuola materna e volevo avviare a uno sport». È nata così, fondando una squadra con il nome del figlio, una società cresciuta anno dopo anno fino alla soddisfazione più grande: un bambino del posto, Mirco Spagnolo, lanciato dal “Checco” e approdato al Petrarca, convocato ora in nazionale.

Come è cominciata?

«Ho giocato a calcio un sacco di anni, e mi pareva l’approdo più naturale anche per Attilio.

Però in quegli anni il rugby stava prendendo piede, l’Italia era entrata nel torneo Sei Nazioni, mi incuriosiva. Ho scritto una mail alla Federazione chiedendo se in zona c’erano delle società di rugby. Mi hanno risposto subito dandomi nominativi e indirizzi. Per primo ho contattato il club di Piazzola sul Brenta, facevano una festa per bambini una domenica di maggio a Carturo. Ho portato Attilio che si è molto divertito. Anche a me è piaciuto. Durante il ritorno mi sono detto che potevo fondare una nuova società, che era una cosa semplice da fare».

Semplice?

«Meno di quel che pensavo. Non sapevo nulla di rugby, così ho contattato un amico, Alberto Zaghetto, che aveva un figlio che giocava con il Mirano. Poi mi sono rivolto al Don Bosco dove c’è un campo che veniva usato solo a livello amatoriale. Mi hanno dato la disponibilità, ho fondato “Checco” e il 29 settembre 2007 i primi cinque bambini hanno iniziato ad allenarsi, più che altro a divertirsi».

Il dado era tratto e i bambini dopo un paio di mesi erano diventati 22. Cavallin, si è fatto conoscere da tutto l’ambiente rugbystico padovano e non solo, la mole di attività è cresciuta, ma lo spirito è rimasto lo stesso.

«Siamo dilettanti, non abbiamo sponsor, una ditta di Limena ci dà una mano ma la base è l’autofinanziamento: ogni ragazzo paga una quota sociale, poi facciamo feste, vendiamo gadget, abbiamo fatto un calendario con le foto delle nostre squadre, per Natale abbiamo prodotto una nostra birra, è andata bene. Poi va forte la maglietta con la scritta “Placchiamo la violenza sulle donne”, cui teniamo tantissimo. Abbiamo anche delle ragazzine che giocano: quando compiono 13 anni e non possono più partecipare ai tornei misti le indirizziamo al Valsugana, dove l’attività femminile è forte, ma l’intenzione è di ampliare questo settore, arrivare ad avere una nostra squadra».

Il fiore all’occhiello è il Torneo Francesco, a ottobre giunto alla 14esima edizione. Riservato alle categorie da Under 6 a Under 12, si disputa a Loreggia.

«C’erano più di 1.200 bambini in rappresentanza di venti società non solo del Veneto, anche di Merano e di Pesaro. Bellissimo».

Il club si chiama Checco, il torneo Francesco, i riferimenti sono costanti. La perdita di un figlio piccolo è una tragedia immane, dove trova tutta questa forza?

«Anche se fisicamente manca, Checco c’è, è sempre presente, è la benzina giusta per il mio motore, per il mio cuore: è presente più di tutti e di tutto. Siamo noi adulti che ci dobbiamo adattare al modo dei giovani di intendere le cose, non il contrario. Sta a noi essere degli esempi, dare la possibilità di sbagliare senza criticarli e basta, ma responsabilizzandoli, aiutandoli a crearsi delle opportunità nello studio, nel lavoro e nello sport, che è un formidabile viatico per la vita. Troppo spesso diamo ai ragazzi risposte che non sono richieste, è tempo di cambiare rotta e, se necessario, di farsi da parte. Ricordiamoci anche che il periodo del Covid per giovani è stato durissimo, complicato, come confermano gli abbandoni precoci allo sport e purtroppo anche alla scuola. Vanno capiti, aiutati e non frenati».

Torniamo al Checco. Pochi anni di attività e già un vostro prodotto, Mirco Spagnolo, è stato convocato, pur senza giocare, in nazionale.

«È di Camposampiero, si è capito subito che aveva delle doti. Bravissimo ragazzo, tuttora molto legato al nostro ambiente. È rimasto con noi un paio d’anni, poi è stato visionato ed è andato all’Accademia federale di Treviso, dove restava fino al venerdì. Quando tornava andava a giocare con il Valsugana e quando c’erano tornei anche a vestire la maglia azzurra giovanili, a disputare il Sei Nazioni di categoria. Due anni fa sono stato io a chiamare il Petrarca, a proporlo a Vittorio Munari. Al suo primo campionato Mirco è diventato campione d’Italia giocando da titolare la finale con il Rovigo. Sono molto contento per lui e lo sono anche tutti i suoi ex compagni di squadra, non c’è gelosia o invidia».

Ultimo aggiornamento: 08:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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