Grafica Veneta, le intercettazioni dei due manager arrestati: «Mi raccomando con le timbrature, non dirgli nulla» ​I verbali

Martedì 27 Luglio 2021 di Angela Pederiva
La sede di Grafica Veneta
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PADOVA - Il giudice per le indagini preliminari Domenica Gambardella sintetizza così le esigenze cautelari nei confronti dell’amministratore delegato Giorgio Bertan e del funzionario Giampaolo Pinton finiti ai domiciliari dopo il blitz di ieri - 26 luglio - a Grafica Veneta: «L'azienda è perfettamente consapevole del numero di ore necessarie per svolgere il lavoro che appalta e non a caso, disponendo delle timbrature dei dipendenti Bm Service, ha fatto di tutto per non consegnarli alla Pg (Polizia giudiziaria, ndr.)».

Ma il presunto “sistema Pakarta” è descritto dettagliatamente nelle 95 pagine dell’ordinanza che, prendendo le mosse dal pestaggio del 25 maggio 2020 contestato agli imprenditori Badar e agli altri indagati pachistani, ricostruisce tre anni di assunzioni e impiego degli operai immigrati «a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno». Situazioni fra cui spicca l’ispezione, nello stabilimento di Trebaseleghe, avvenuta il 7 luglio dello scorso anno, in cui i due manager e l’elettricista Cristian Gasparini (in stato di libertà) avrebbero tentato di ostacolare materialmente le indagini dei carabinieri.


LE TESTIMONIANZE
Accogliendo la tesi del pm Andrea Girlando, il gip spiega che gli addetti venivano ingaggiati da Bm Service e forniti a Grafica Veneta, sulla base di contratti formalmente fissati a 40, 30 o 20 ore settimanali. Le testimonianze delle persone offese sono però di tutt’altro tenore: «L’orario poteva variare da 10, 12 a un massimo di 16 ore al giorno», racconta Mudassar. «Ma in busta paga ne vengono contabilizzate soltanto 8», conferma Iftikhar.

«Non era prevista la giornata di riposo e nemmeno le ferie», aggiunge Asad. «Prendevo uno stipendio medio di 1.100 euro, ma mi veniva accreditata una somma inferiore in quanto si trattenevano l’affitto di 120 euro e ulteriori 200, 300 o 400 euro, riferisce Muhammad. 
Di qui le accuse congiunte ai fornitori della manodopera e ai committenti dei servizi: «Giornate lavorative di circa 12 ore per 7 giorni su 7; assenza di giornate di riposo; mancato riconoscimento di ferie; mancato riconoscimento di eventuali giornate di malattia; pausa pranzo da svolgersi all’interno del luogo di lavoro senza che fosse destinato alcuno spazio specifico (quale refettorio o sala mensa); sorveglianza “a vista” continuativa durante lo svolgimento delle prestazioni lavorative; mancata messa a disposizione dei lavoratori dei fondamentali Dpi quali, ad esempio, scarpe antinfortunistiche o protezioni per i rumori; obbligo di retrocessione di parte dello stipendio formalmente erogato in conformità alle buste paga, così da ridurre la retribuzione oraria all’importo di 4,5/5 euro all’ora, ben al di sotto di quanto previsto dal Ccnl; mancato riconoscimento della tredicesima mensilità; obbligo di pagamento di un importo ricompreso tra euro 120 ed euro 150 per l’ospitalità in camere con almeno tre persone ed uso promiscuo di servizi igienici e cucina, il tutto mediante detrazione diretta dello stipendio».

LA VIOLENZA
Dalle carte risulta una corposa attività investigativa, svolta attraverso le intercettazioni telefoniche, i filmati delle videocamere, l’analisi dei tabulati telefonici e dei tracciati dei gps sulle auto, i servizi di osservazione e l’accesso ispettivo di un anno fa. Tutto a partire dall’aggressione ai dipendenti della ditta trentina, guidata da Arshad Mahmood Badar e dal figlio Asdullah detto Assad: «Il violento pestaggio avvenuto il 25 maggio altro non era che una punizione riservata ai lavoratori che stavano maturando il proposito di ribellarsi al Badar, recandosi presso un sindacato per avere informazioni sui propri diritti». 
Ma al di là delle prepotenze fisiche, secondo il gip emerge «una gravissima azione di sfruttamento posta in essere non solo nei confronti dei denuncianti, ma in modo sistematico nei confronti anche di tutti gli altri lavoratori che non avevano avuto il coraggio di ribellarsi, anche perché intimoriti proprio dalla reazione violenta subita da coloro che avevano osato rivolgersi ai sindacati».
Eloquente è la telefonata captata il 30 maggio 2020 fra Bertan e Badar junior, a cui l’ad chiede «come ha risolto con i ... che vi rompono le scatole... con quelli della casa intendo (...) spero che sia superata la cosa». Sono i giorni del Covid e le commesse sono rilevanti. Dice il dirigente: «Effettivamente noi soprattutto qua all’inizio di giugno abbiamo un bel carico perché oltre all’aspetto mascherine, abbiamo libri e c’è tanta roba da fare per cui... tu sei senza questi 8 o li hai già rimpiazzati...». Il terzista lo rassicura: «Li abbiamo già rimpiazzati».
Quando però il 7 luglio i carabinieri entrano in azienda per verificare le timbrature, la situazione finisce fuori controllo. Annota il giudice Gambardella: «Addirittura, vi sono state telefonate in cui i dirigenti della Grafica hanno detto al proprio tecnico di non consegnare nulla e cancellare i dati, disperandosi una volta appreso che la Pg era comunque riuscita ad acquisire un dato parziale».

LE CHIAMATE
È un giro vorticoso di chiamate, venti in poche ore. Alle 8.20 Bertan chiede a Pinton quale sia l’ambito dell’accertamento e apprende che ad agire è l’Ispettorato del lavoro. «Giorgio impreca e poi gli chiede: “Ma Pakistan o Romania?” Giampaolo risponde “tutte e due” e sottovoce gli dice: “Mi raccomando con le timbrature”».
Alle 8.22 Bertan contatta Badar senior e lo invita a parlare «ai suoi operai affinché rispondano bene». Alle 8.39 Pinton tranquillizza il collega: «Sto guadagnando tempo». Ma dalla conversazione delle 15.38 fra Bertan e Pinton è evidente che gli investigatori sono avanti.

B: «Una domanda... perché noi gli abbiamo dato le timbrature?».
P: «No... se le sono prese loro dal computer per quanto riguarda gli ingressi e le uscite».
B: «Sì ma noi dobbiamo dire... riferire su base giornaliera cioè possiamo dire con esattezza quando entrano ma non quando escono».
P: «Sì è questo che stiamo dicendo».
B: «Sì però noi possiamo riferire gli eventi giornalieri e non quelli dei precedenti giorni».
P: «Sì ma non è stato possibile perché all’atto del controllo è stato chiesto di dimostrare l’ingresso effettivo al momento e quindi nell’aprire il programma hanno visto tutto».
B: «Ci siamo inculati da soli. Ci voleva un sistema...».
P: «Siamo riusciti a tagliare dal 26... hanno preso da maggio in poi».

Poi alle 16.01 Pinton chiama Gasparini, nel tentativo secondo il gip di sviare le indagini: «Cristian... ti chiamerà il carabiniere che sta lavorando sul... coso, non sta a dirgli niente. Digli che il dato che vuole non viene tirato fuori, il sistema non è in grado, sta leggendo dei numeri che non si sa da dove li pesca, hai capito?».
Alle 17.37 l’elettricista risponde che sta attaccando delle luci per il patron Franceschi. Pinton è perentorio: «Bisogna che vieni qua, lascia perdere i fari a casa di Fabio, cazzo!».

I SOLDI
Ormai però l’inchiesta ha preso il largo e arriva a quantificare lo sfruttamento: «Nel mese di maggio la Bm Service ha fornito circa 3.000 ore di manodopera al prezzo di euro 30.000, che Grafica Veneta ha pagato euro 10 per ogni ora (...). Considerando che la busta paga di un lavoratore con contratto a tempo pieno prevede una paga oraria oscillante tra i 7 e gli 8 euro, appare evidente che l’importo pagato da Grafica Veneta sia del tutto disancorato dalla realtà, in quanto non consentirebbe alla Bm Service nemmeno di rientrare dei costi della manodopera».
Quindi? «L’unico modo che la Bm Service ha di recuperare i costi è quella di dimezzare nei fatti la paga degli operai, facendoli lavorare il doppio delle ore, senza riconoscere i festivi, le malattie, le tredicesime, il lavoro straordinario...».

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Ultimo aggiornamento: 28 Luglio, 11:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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