Volontaria in Grecia tra i ragazzi siriani in fuga dalle bombe: lezioni sospese per il Covid-19, Giulia torna a casa

Giovedì 16 Aprile 2020 di Gabriele Pipia
Giulia Miazzo ha operato in Grecia con i ragazzi profughi di Siria

PADOVA - Ha iniziato a fare volontariato a Padova, portando i panini ai senzatetto con la comunità di Sant'Egidio e aiutando i bambini nei doposcuola di Mortise. Dentro di sé, però, Giulia ha sentito presto il desiderio di andare oltre. Di partire per una piccola isola della Grecia, insegnare inglese ai ragazzi che scappano dalle bombe siriane e incrociare ogni mattina i loro sguardi stravolti. Sguardi che mescolano orrore e speranza. Giulia Miazzo, 25 anni e una laurea in psicologia all'università di Padova, a gennaio ha iniziato a lavorare nella scuola per stranieri accanto all'enorme campo profughi di Samos, uno dei più grandi del Mediterraneo. Lo scopo? Aiutare adolescenti che hanno vissuto un'infanzia drammaticamente diversa dalla sua. 

L'IMPREVISTO
Ciò che Giulia non si aspettava, però, era imbattersi anche nell'emergenza sanitaria più grande del secolo. In Grecia il Coronavirus non ha provocato una strage di vittime come in Italia, ma in tutta Europa la paura cresce giorno dopo giorno, il governo ha chiuso ogni scuola e anche la giovane padovana ha dovuto fermarsi. 
«In queste settimane di stop forzato ho avuto il modo di seguire da lontano le drammatiche vicende italiane ma ho avuto anche il tempo di metabolizzare tutto quello che ho visto nelle ultime settimane in questa isola. Spero un giorno di poter tornare a dare una mano a questi ragazzi» racconta lei, emozionata, tenendo in mano un biglietto aereo per rientrare in Italia. Non ha potuto passare la Pasqua in famiglia, ma la Farnesina ha organizzato un rimpatrio con un volo da Atene a Milano. Giulia era partita per aiutare gli altri, alla fine ha dovuto essere aiutata a propria volta.

LO SCENARIO
Nell'isola di Samos il Coronavirus non è ancora arrivato, ma se l'epidemia esplodesse anche da queste parti sarebbe un disastro. «Nella città di Vathy, dove c'è il campo, ci sono ottomila abitanti. Altrettanti ce ne sono nel campo profughi, una situazione davvero problematica. Io sono partita a gennaio con l'ong Still I Rise - racconta la ragazza - per aiutare i giovani che scappano da guerre e altre situazioni difficili. Arrivano soprattutto da Siria e Afghanistan, ma anche da diversi Paesi africani molto poveri, come Congo e Angola. Chi scappa dalle bombe attraversa la Turchia e poi arriva nelle isole come Samos, Kios e Lesbo». Già, le bombe. La smorfia sul viso di Giulia racconta tutto. «In quel campo ci sono tantissimi minori, spesso non accompagnati. Penso a sei fratelli siriani che negli ultimi sei anni hanno cambiato continuamente città e casa. Sono stati costretti a farlo, perché le loro abitazioni erano state tutte bombardate. Hanno perso il padre e hanno attraversato Siria e Turchia per arrivare in questo campo sovraffollato. E almeno loro hanno una madre, a differenza di altri, arrivati qui completamente soli». 

LE SPERANZE
Mentre in Veneto esplodeva l'emergenza Covid, lei sull'altra sponda del Mediterraneo era sommersa da altri tipi di storie. «Spesso questi ragazzi hanno famiglia nei paesi originari e viaggiano da soli sperando che un giorno i genitori possano raggiungerli. Ne ho conosciuto uno che era qui da solo - sospira Giulia - proprio mentre la sua casa in Siria veniva distrutta. E' per questo che le condizioni psicologiche sono complicatissime, con tagli sulle braccia e altri tentativi di autolesionismo quasi all'ordine del giorno».
Giulia, tanta sensibilità e una meravigliosa forza di volontà, è una delle quindici giovani selezionati per lavorare per questa ong italiana. «La voglia di partire mi è venuto subito dopo la laurea - spiega -. Tutto è nato leggendo un libro, Se fosse tuo figlio di Nicolò Govoni, sulla storia vera di un incontro con bimbo migrante. Ho dato disponibilità per stare in Grecia tre mesi, ma purtroppo dopo un mese e mezzo abbiamo dovuto fermarci. Il Coronavirus ha interrotto questa esperienza, ma ciò che mi resta è comunque qualcosa di enorme». 
Si aspettava di trovare ragazzi persi e svuotati, invece in molti casi è stata sommersa da un'incredibile energia positiva. «Sono adolescenti - sorride commossa, preparando gli ultimi bagagli - che vogliono ridere, crescere, parlare inglese e magari imparare la matematica».

Ragazzi che vogliono vivere, e non solo sopravvivere.

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