VENEZIA/PADOVA - Parole e azioni degne forse di una bettola malfamata, ma non certo di un'aula scolastica: «def...», «tr...», «troverai un m... a cui fregherai i soldi», «marciume», «cagna», «lei sarà una fallita e si farà mantenere da un p... a cui darà il c...». I puntini di sospensione sono pietosamente nostri, ma la Cassazione ha scritto per intero gli insulti (e ha elencato senza censure i gestacci) con cui la professoressa di un liceo di Padova si rivolgeva ai propri studenti, nella sentenza con cui è stata confermata la condanna emessa dalla Corte d'Appello di Venezia. All'insegnante sono stati inflitti tre mesi di reclusione, per il reato di abuso dei mezzi di correzione.
LA VICENDA Arrivata al verdetto di primo grado nel 2018 e a quello di secondo nel 2019, la vicenda si riferisce all'anno scolastico 2013/2014.
IL RICORSO A quel punto la professoressa, fino ad allora incensurata, aveva presentato ricorso in Cassazione. La difesa sosteneva che alla propria assistita non fosse stata prospettata la facoltà di chiedere la messa alla prova e dunque di ottenere il proscioglimento attraverso un'attività di riparazione sociale. Inoltre l'insegnante lamentava la genericità del capo di imputazione, eccepiva l'inaffidabilità delle testimonianze, chiedeva la riqualificazione dei fatti come percosse non procedibili per difetto di querela, affermava una carenza di prova nel nesso tra le offese e il rischio di malattia e contestava un' eccessività della pena.
LE MOTIVAZIONI Tutte doglianze che sono però state respinte dalla Suprema Corte, la quale rileva innanzi tutto che quella della messa in prova è stata una «richiesta in realtà mai avanzata». Ma al di là di questo, le motivazioni sono nette nel merito delle accuse: «L'imputata interagiva con gli studenti con reiterate modalità pesantemente offensive e fisicamente aggressive, così da travalicare le finalità proprie del normale processo educativo. Viene ribadite che «le continue aggressioni, verbali e fisiche, e le umiliazioni subite, con speciale riguardo alla intima sfera sessuale, avevano determinato un concreto pericolo per la salute mentale dei giovani alunni di 14-15 anni», anche perché «in tema di abuso dei mezzi di correzione», la nozione di malattia si estende «fino a comprendere ogni conseguenza traumatica e rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo».