Don Oscar Kasongo è il primo parroco africano di Padova: «Sono lo specchio dei tempi»

Don Oscar, 37 anni, guiderà la parrocchia di Santo Stefano Re d'Ungheria a Brusegana

Martedì 25 Aprile 2023 di Nicola Benvenuti
Don Oscar Kasongo

PADOVA - «Finora nessuno mi ha fatto sentire a disagio per il solo fatto di avere la pelle nera, anzi. Mi sento sempre molto a mio agio». A parlare così è don Oscar Kasongo, 37 anni, il primo sacerdote di origine africana alla guida di una parrocchia padovana, quella di Santo Stefano Re d’Ungheria nella zona di Brusegana.

Da quanto tempo vive in Italia?
«Sono nativo del Congo e a Padova sono arrivato nel 2019, dapprima come vicario parrocchiale e poi come amministratore parrocchiale con tutte le funzioni di un parroco: ora mi manca solo la cittadinanza italiana.

Da un anno ho la cura della comunità affidata fin dalle origini alla Congregazione dei Servi della Carità fondata da San Luigi Guanella, unica parrocchia guanelliana in Veneto».

Qual è l’approccio dei parrocchiani verso un parroco che arriva dall’Africa?
«Negli anziani che magari non frequentano abitualmente la parrocchia, quando vado per le case noto un po’ di prudenza ma che credo possiamo definirla anche una virtù, visto che le truffe sono all’ordine del giorno e proprio qualche mese fa abbiamo organizzato degli incontri in parrocchia su questo tema».

Lei parla un italiano fluente e le sue omelie sono spesso a braccio...
«L’ho imparato facendo un anno di tirocinio, nel 2011, in una casa per persone diversamente abili. È stato grazie a loro, i buoni figli, che ho iniziato a conoscere la vostra e nostra bella lingua».

Come è diventato prete?
«Sono originario di Lubumbashi, una delle grandi città del Congo. Avevo desiderio di farmi sacerdote fin dall’età di 7 anni, ma sono entrato solo dopo la maturità in seminario nella capitale Kinshasa e poi ho frequentato la facoltà di filosofia in Nigeria, per approdare a Roma, nel 2011 e. Dopo un anno di tirocinio, iniziai la Teologia a Roma per ottenere poi la licenza in pastorale ed educazione all’Università Lateranense».

E poi cosa ha fatto?
«Sono stato ordinato prete in Congo nel 2017 e dopo una prima esperienza come vice parroco nel mio paese, sono approdato a Padova. E qui prima come vicario e ora come responsabile devo dire che ho trovato una ambiente favorevole: la parrocchia aveva bisogno di un cappellano giovane ed il fatto di essere di pelle scura non ha rappresentato finora un problema ed ho trovato una bella accoglienza verso questo nuovo vento africano».

Quindi un parroco africano possiamo un po’ definirlo lo specchio dei tempi?
«Sì io la vedo come una cosa normale, d’altra parte nella comunità parrocchiale a Santo Stefano la presenza di cittadini stranieri ed extracomunitari è sempre maggiore: per questo è importante che la Chiesa sia in uscita e si apra all’accoglienza. Sono convinto che la questione dell’interculturalità, cioè la compresenza di elementi o di individui appartenenti a culture diverse non deve essere un limite».

Non ha mai avuto esperienza negative a sfondo razziale?
«Non solo a Santo Stefano Re, ma anche più in generale nella Chiesa di Padova mi trovo a mio agio, sono stato ben accolto anche dagli altri sacerdoti e sono grato della fiducia che ha riposto in me il vescovo Claudio. Nessuno mai finora mi ha fatto sentire a disagio per il solo fatto di avere la pelle nera».

La parrocchia di Santo Stefano festeggia il 60esimo anno di fondazione: che significato ha questo anniversario e come lo sta vivendo lei?
«Abbiamo il dovere di conservare la storia di questa comunità, la parrocchia non va in pensione, ma raggiunge la maturità, come ogni 60enne. Dobbiamo riprendere il senso della comunità, dell’unità nell’integrazione tra persone di razze e culture diverse. Personalmente poi sono grato ai confratelli che hanno svolto il loro ministero qua prima di me e anche alla parrocchia di Brusegana, da cui è nata Santo Stefano negli anni ‘60 e con cui stiamo intessendo una bella collaborazione».

Un sogno nel cassetto di don Oscar?
«Di poter coinvolgere anche i nostri giovani in questo progetto di rinascita parrocchiale, con la consapevolezza che i numeri sono ristretti, ma c’è un terreno fertile sul quale si può e si deve lavorare e ci stiamo muovendo in questo senso. D’altra parte è vero che questa, come tutta la città di Padova è una zona abitata da persone mature ed anziane. Mia sorella che è venuta a trovarmi dal Congo tempo fa è rimasta meravigliata e mi ha fatto notare che per strada si vedono pochissime mamme con bambini e tante persone anziane».

Avremo mai un “Papa nero”, come cantavano i Pitura Freska in una canzone diventata celebre?
«È una domanda che parte da un bisogno sociale, ma per rispondere partirei dalla storia della Chiesa: ci sono stati dei Papi non europei. L’elezione del Papa è anzitutto opera dello Spirito Santo, quindi non è una questione di colore. L’importante è che queste persone siano capaci di guidare la Chiesa secondo quello che Dio e lo Spirito Santo vuole. Lo Spirito Santo soffia e ci dà il suo dono, non rimane che aprire il cuore».

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Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 13:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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