Costi alti e pochi clienti: i locali di Padova riducono gli orari di apertura

In provincia più della metà ha già modificato le aperture o sta decidendo di farlo. L’Appe: «Per bar e ristoranti incide pure la carenza di personale»

Venerdì 8 Luglio 2022 di Gabriele Pipia
Piazza dei Signori a Padova
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PADOVA - Serrande abbassate e luci spente, anche in piazza dei Signori alle quattro del pomeriggio. Fino a due anni fa era una rarità assoluta, ora invece sta diventando una consuetudine. Sempre più spesso i gestori di bar e ristoranti decidono di ridurre l’orario di apertura, introducendo una finestra di chiusura pomeridiana oppure anticipando la chiusura serale. I motivi sono principalmente tre: carenza di personale, calo della clientela e aumento esorbitante dei costi dell’energia.

Il panorama è noto all’Appe, associazione dei pubblici esercizi, che nell’ultima settimana ha sondato i propri associati per capire quanto questo fenomeno sia diffuso. Risultato? Il 35% dei gestori che hanno partecipato all’indagine ha già deciso di ridurre l’orario di apertura e si aggiunge un 21% di titolari intenzionati a farlo. Più della metà degli esercenti padovani, quindi, sta andando in questa direzione.

Quali sono le difficoltà

Nel 60% dei casi i titolari indicano come prima causa la difficoltà legata ai costi troppo alti per il mantenimento dei locali: le bollette si fanno sentire e gli aiuti dello Stato non bastano ad ammortizzare le spese. Nel 34% dei casi è un problema di carenza dei lavoratori e qui va aperto un capitolo a parte. In tutta la provincia contiamo tremila pubblici esercizi (bar, ristoranti, pizzerie, birrerie, pasticcerie e chi più ne ha più ne metta) che quando operano a pieno regime danno lavoro a quasi 15mila lavoratori. Ora all’appello ne mancano 1.500, perlopiù con contratti a chiamata per weekend e serali. «Le motivazioni sono note. Nel periodo più buio dell’emergenza legata al Covid molti lavoratori hanno cambiato settore scegliendo industria, trasporti, logistica e grande distribuzione - ripete da tempo il segretario dell’Appe Filippo Segato -. C’è anche da dire che molti lavoratori stranieri in piena pandemia sono rientrati nel loro Paese di origine e poi non sono ancora tornati in Italia». I dati dell’Appe dicono che attualmente il 55% dei lavoratori ha contratti a tempo indeterminato, il resto a tempo determinato oppure a chiamata. La busta paga standard per un cuoco di livello 4 è di 1.560 euro lordi, 1.350 euro netti. Per un livello 5 (cameriere, barista) si scende a 1.463 lordi, 1.270 netti. «È innegabile che il nostro settore offra un’attività lavorativa concentrata nei momenti in cui le altre persone sono fuori a divertirsi - prosegue Segato -, questo aspetto ora comporta difficoltà di trovare lavoratori». La terza causa è quella legata alla capacità di spesa della clientela: non solo italiana, ma anche e soprattutto straniera, che quest’anno è ritornata senza, per noti motivi, i turisti russi che di solito in campo enogastronomico non badavano a spese.

Le scelte

C’è una tendenza da osservare anche per quanto riguarda i giorni di chiusura. Se il 66% dei titolari non ha introdotto nuovi giorni di chiusura settimanali nel corso del 2022, il 12% è passato da uno a due giorni, il 7% è passato da zero a un giorno di chiusura e il 14% sta valutando di farlo. «Quello che accomuna tutti, bar e ristoranti, è l’alto costo energetico - continua Segato -. Tenere il locale aperto significa soprattutto aria condizionata e luci accese. Intanto i clienti latitano soprattutto nei primi giorni della settimana: chi ha un ristorante sui colli lavora sicuramente meno lunedì, martedì e mercoledì. Chi ha un bar in un quartiere periferico magari introduce la pausa pomeridiana dalle 14 alle 18 (ma sta capitando anche in alcuni bar del centro, ndr)». «Intanto resta il problema dei dipendenti: diversi titolari hanno dovuto rinunciare a cene e banchetti per assenza di personale in sala o in cucina. Il settore tutto sommato sta ancora navigando a vista tra mille difficoltà e mille incertezze - chiude Segato - soprattutto per quel che riguarda i prossimi mesi. Finché i costi energetici rimarranno così alti sarà difficile mantenere in funzione le attività. Nel breve periodo si reagisce introducendo giorni e orari di chiusura ma sono politiche difficilmente sostenibili nel lungo periodo perché uno non può andare avanti per sempre lavorando a ritmo ridotto».

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Ultimo aggiornamento: 12:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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