Scuolabus ribaltato, parla l'autista: «Ecco cosa è successo quel giorno»

Venerdì 9 Agosto 2019 di Gabriele Pipia
Lo scuolabus ribaltato
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PADOVA Un breve viaggio dalla sua casa di Rovigo al supermercato più vicino, per fare la spesa e provare a lasciarsi tutto alle spalle. Così, due mesi e mezzo dopo la tragedia sfiorata sui colli euganei, Deniss Panduru è tornato a guidare. Nei suoi occhi ci sono ancora i flash di quel terribile incidente, nelle orecchie risuonano le urla furiose dei genitori. Panduru, 51 anni, era l’autista dello scuolabus che il 17 maggio si è rovesciato in un tornante di Arquà Petrarca mentre riportava a casa 13 bambini. Dopo lo schianto si era allontanato e oltre due ore dopo era stato trovato dai carabinieri e arrestato. Accusato di omissione di soccorso, era anche risultato positivo all’alcoltest. 
Signor Panduru, ogni quanto ripensa a quel venerdì pomeriggio?
«Continuamente. Quello è stato il primo incidente della mia vita. Ho la patente da più di trent’anni, ho sempre girato in tutta Europa. E sono finito a rovesciarmi in una strada che conoscevo a memoria, andando a 30 all’ora. Non riesco a crederci». 
 
Come aveva trovato quel lavoro?
«Fino al 2017 ho lavorato come elettricista a Conselve. Avendo la patente con tutte le specifiche richieste, vista la difficoltà nel mio campo ho provato un nuovo lavoro nuovo. L’annuncio della ditta di autotrasporti Seaf di Este l’ho trovato su Subito.it e mi sono proposto. Mancava poco alla fine della scuola: l’accordo era per mille euro al mese». 
Faceva anche altro?
«Sì, alla casa di riposo di Adria stavo terminando dei lavori socialmente utili legati ad una vicenda giudiziaria personale. E così al mattino partivo da Rovigo e arrivo ad Este per guidare il pulmino. Poi andavo ad Adria e a mezzogiorno tornavo ad Este». 
Cos’è successo quel venerdì 17?
«Va fatta una premessa. Il bus aveva diversi problemi: al motore, alle marce, alla marmitta. Li avevo segnalati più volte. Perdeva spesso gasolio e olio. Proprio la perdita di olio potrebbe essere stata la causa dell’incidente. È quella perdita che potrebbe aver fatto bloccare il mio volante». 
Cosa ricorda di quei momenti?
«Lo scuolabus che si rovescia su un lato, io che inizialmente resto lucido e apro subito la porta scorrevole. Si ferma anche un ragazzo per dare una mano. Io guardo subito dietro, per sincerarmi delle condizioni dei bambini. Vedo che per fortuna sono tutti vivi, anche se molti urlano dalla paura e qualcuno soffre di claustrofobia. Li aiuto a scendere portando giù anche gli zaini. Cerco il triangolo d’emergenza e non lo trovo. Temo che tutto possa prendere fuoco, provo a staccare la batteria ma non riesco. Poi chiamo subito il capo». 
Molti genitori la accusano di non aver chiamato i soccorsi. 
«Mentre portavo fuori i bambini ho chiesto di chiamare il 118 e mi è stato risposto che qualcuno lo stava già facendo. Ora voglio ringraziare il ragazzo che quel giorno mi ha aiutato». 
Mentre gli infermieri si prendevano cura dei bambini, però, lei si allontanava a piedi. 
«Dopo quei momenti concitati ho accusato un malore e ho avuto un vuoto. Quando mi sono ripreso, ho visto che erano già arrivati i soccorsi e diversi genitori. Urlavano contro di me, ho temuto il linciaggio e ho preso paura. Ma non ho tentato la fuga. Mi sentivo in colpa. Ai carabinieri che mi hanno fermato ho spiegato ciò che era successo e il motivo per cui mi ero allontanato». 
Ma è risultato positivo all’alcoltest. 
«Sì, ma non avevo bevuto nulla di nulla. Io non bevo mai prima di guidare. L’unica cosa che posso dire è che avevo una infezione e la dottoressa mi aveva dato un medicinale per la gola. Dovevo lavarmi spesso la bocca: quel giorno avevo preso solo una tintura al propoli e un collutorio». 
Già in passato, però, le era stata ritirata la patente. 
«Nel 2017 a Rovigo fui fermato per guida in stato d’ebbrezza. In realtà ero solo in un parcheggio vicino alla mia auto, non stavo guidando. Era un periodo in cui avevo problemi a casa e avevo iniziato a bere, ma mai troppo. Fino a 45 anni ero sempre stato astemio». 
Ha passato due notti in carcere. Cosa pensava?
«Avevo la televisione e in tutti i canali sentivo parlare di me. Avrei voluto chiamare i miei figli per spiegare che cosa era successo e per dire loro che io non avevo affatto omesso il soccorso. Qualcuno mi aveva perfino paragonato all’autista di Milano che voleva dare da fuoco allo scuolabus. Ma io non sono affatto un criminale». 
Lei ha due figli. Da genitore, si sarebbe infuriato anche lei con l’autista?
«Certo, infatti li capisco. Ma sono certo che i più arrabbiati erano i genitori che non mi hanno mai conosciuto. Gli altri hanno capito. Ora vorrei incontrare i genitori e i loro figli per chiarire. Mi spiace tanto per ciò che è successo, con gli alunni avevo un rapporto speciale». 
Tornerebbe a guidare uno scuolabus?
«Immediatamente. Ma il mio grande sogno è fare l’infermiere: in Romania avevo preso una laurea triennale apposta».
Gabriele Pipia
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Ultimo aggiornamento: 08:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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