Gianni Nardini ucciso nella rapina, processo da rifare ancora dopo 33 anni

Sabato 16 Maggio 2020 di Angela Pederiva
LA SENTENZA Le foto del 1987 documentano l'assalto in A13 degenerato nella morte di Gianni Nardini. Processo da rifare

PADOVA - Tutto da rifare, ancora una volta. Anche se sono passati 33 anni, non è finita la lunga e tortuosa vicenda giudiziaria scaturita dal sanguinoso assalto al portavalori di Boara Pisani (Padova), dove in un conflitto a fuoco tra la mala del Brenta e la polizia di Stato rimase ucciso Gianni Nardini, giovane camionista di Pocenia (Udine). Con una sentenza depositata nei giorni scorsi, la Cassazione ha ordinato un quarto processo d'Appello a carico di Andrea Batacchi, ex sodale di Felice Maniero, che già tre Corti fra Venezia e Trieste avevano condannato all'ergastolo.

IL FATTO
Per ricostruire la storia bisogna tornare al 21 ottobre 1987. Sono le 4.30 del mattino, quando una banda armata tenta di rapinare un furgone della ditta North East Services di Vicenza. Per bloccare il mezzo, carico di lingotti e contanti per un valore di due miliardi e mezzo di lire, i malviventi fermano un autocarro e ne sequestrano l'autista: il 26enne friulano che sta tornando da una consegna a Bologna. Sulla scena irrompe però all'improvviso una pattuglia della polizia stradale di Rovigo. Comincia una cruenta sparatoria. In quei concitati frangenti, l'agente Aldo Sanco viene ferito gravemente da una pallottola e a sua volta esplode sei proiettili. Uno di questi colpisce a morte l'ostaggio Gianni Nardini. Nessuno dei delinquenti si ferma a prestare soccorso: scappano tutti. 

LA SPOLA
Inizialmente i responsabili del fatto restano dunque ignoti e l'inchiesta finisce archiviata. Ma fra il 2003 e il 2004 le indagini vengono riaperte sulla base delle dichiarazioni rese da Stefano Galletto, altro ex appartenente alla mala del Brenta, il quale riferisce di aver ricevuto delle confidenze in proposito dai presunti partecipanti Ercole Salvan e Andrea Batacchi. Entrambi finiscono a giudizio, ma Salvan viene assolto in via definitiva (e morirà a marzo del 2020), mentre Batacchi comincia la spola fra le aule di giustizia. Assolto in primo grado, nel 2013 il padovano viene condannato all'ergastolo dalla Corte di Assise di Appello di Venezia. Nel 2015 la sentenza è annullata dalla Cassazione, ma in sede di rinvio viene confermata la pena massima, con l'accusa di omicidio aggravato. La difesa presenta un nuovo ricorso alla Suprema Corte, che nel 2017 decide un nuovo annullamento e un terzo Appello, ipotizzando di riqualificare il reato quale morte come conseguenza di altro delitto. Il processo si sposta a Trieste, dove viene anche disposta una perizia balistica, finché nel 2018 viene ribadito l'ergastolo a titolo di dolo eventuale: anche se non voluta, la morte di Nardini sarebbe stata comunque messa in conto dai malfattori, come possibile rischio connesso alle loro azioni. 

L'IMPUGNAZIONE
A quel punto l'avvocato Franco Capuzzo torna a sollevare il caso in Cassazione. Alla base dell'impugnazione c'è la tesi secondo cui i banditi potrebbero aver previsto e accettato la possibilità di un conflitto a fuoco con le guardie giurate che erano a bordo del furgone portavalori, mentre mancherebbe la prova che avessero preso in considerazione il possibile intervento della polizia. Secondo la difesa, i rapinatori non avrebbero avuto intenzione di uccidere Nardini, un episodio risalente «ad epoca assai remota», mentre Batacchi ha patito nel frattempo «una unica condanna definitiva». 

LE MOTIVAZIONI
Così si arriva all'ennesimo verdetto: quello che rispedisce il procedimento a Venezia, dove dovrà essere ricostruita la dinamica dello scontro a fuoco.

L'accertamento andrà ripetuto «avendo cura di individuare, ove possibile, la posizione, oltre che dell'agente Sanco, del rapinatore che teneva in ostaggio Gianni Nardini e dì quello che sparò, con un fucile a pompa, all'agente Sanco, ferendolo, di determinare la direzione seguita da Nardini dopo essersi svincolato dalla presa del malvivente e di verificare se, percorrendola, Nardini abbia o meno intercettato le linee di fuoco dei proiettili che Sanco esplose all'indirizzo del rapinatore». A carico del 56enne Batacchi sarà dunque celebrato l'ottavo processo per la morte di un ragazzo che aveva 26 anni: meno dei 33, e chissà quanti altri, trascorsi dalla sua famiglia nell'attesa di avere giustizia.

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