PADOVA - Un regolamento di conti all’interno della Mala del Brenta. È questa l’ipotesi sulla quale stanno lavorando gli inquirenti 31 anni dopo. Perché anche i due nuovi indagati sono ex fedelissimi di Felice Maniero. E con uno di loro Marino Bonaldo, quello che doveva essere il vero obiettivo, aveva già avuto uno scontro finendo gambizzato. «Se avessi saputo qualcosa, se avessi avuto dei sospetti, avrei parlato allora. Io in questa storia sono una vittima». Cerca di chiamarsi fuori da tutto e di mettere a modo suo le cose in chiaro Bonaldo, trentuno anni dopo l’uccisione del 23enne Matteo Toffanin, che sarebbe stato scambiato dai sicari su cui oggi si torna a indagare proprio per lui, oggi 71enne. L’uomo ieri è stato convocato in Procura per essere ascoltato dal pubblico ministero Roberto D’Angelo su quei tragici fatti del 3 maggio 1992. L’inchiesta vede oggi due persone indagate. Si parlò di mafia siciliana, di screzi nel mondo del narcotraffico, di Mala del Brenta.
La posizione
Oggi Bonaldo è in pensione e non vive più nel quartiere Guizza. È tornato verso l’Alta Padovana, suo luogo d’origine. Trovarsi convocato in Procura per lui, assicura, è stata una sorpresa. Anche perché i due odierni indagati sarebbero persone che conosce da decenni. «Se sono chi penso io, sono ancora più sorpreso. Uno di loro è sempre stato un amico, uno di famiglia. Non penso avesse motivo per fare una vigliaccata del genere ma soprattutto, conoscendomi benissimo, come avrebbe potuto sbagliare bersaglio?». Le indagini puntano sul passato di Bonaldo e vanno a scandagliare anche gli ambienti della criminalità organizzata veneta. Forse queste persone erano i mandanti e hanno affidato il compito di freddare Bonaldo a complici assoldati proprio per questo? «Ma quando mai!» commenta laconico il 71enne. Con uno di loro vi è stato un grave screzio a fine anni Settanta, con Bonaldo colpito da un proiettile a una gamba per una vicenda di donne contese. «Tutta acqua passata – commenta –. Quella persona l’ho poi rivista mille volte». E anche sulle precedenti intimidazioni (un negozio crivellato di colpi e una minaccia con il fucile per questioni di soldi, ndr) Bonaldo minimizza. «È successo, ma poi si è risolto tutto, non posso pensare siano state queste persone. Io non ho mai direttamente ricevuto minacce. Ho sempre vissuto a Padova, non sono mai scappato da nessuno. Per me qui c’è qualche fasullo che racconta delle cose non vere, qualche falso pentito o confidente che non sa le cose. Ciò che davvero mi fa star male è pensare a quel povero ragazzo ucciso e alla sofferenza della mia famiglia nel vedere riaperta questa storia».
Il passato
«Non so se davvero fossi io il bersaglio, mi sento innocente quanto quel povero ragazzo morto – spiega –. Per quel che ne so potevano anche cercare qualcun altro. Sono nato in una buona e onesta famiglia e per disgrazia divina sono stato anche un delinquente, ma anche in quel mondo tutti lo sanno: ho sempre vissuto con precisione e sincerità». Il passato di Bonaldo non è certamente immacolato. Ha avuto svariati trascorsi con la giustizia tra furti, rapine, traffico d’armi. Spesso è stato anche in odore di Mala del Brenta. È pure finito più volte a processo per reati legati alla droga, venendo però assolto. E quel passato ingombrante non può nasconderlo. «Quella sera ero uscito con una donna, ero dalle parti di Abano Terme dove poi sono stato fermato da una pattuglia dei carabinieri – racconta –. Quando sono arrivato davanti a casa, in via Tassoni, ho visto un sacco di lampeggianti e poliziotti. Se avessi sospettato che qualcuno avesse fatto una cosa del genere contro di me lo sarei andato a cercare: non per vendicarmi, ma per parlarci faccia a faccia. Avrei cercato quel vigliacco. Quindi no, non sono certo che fossi io il bersaglio. Non ho mai fatto sgarri a nessuno, non ho avuto problemi con la droga. Ho sempre lavorato, avevo dei negozi, delle attività».