Scambio di persona e Matteo fu ucciso a 23 anni: ci sono due indagati. Bonaldo sentito dal pm

Mercoledì 22 Febbraio 2023 di Serena De Salvador
Una foto del 3 maggio 1992

PADOVA - Due nuovi nomi per cercare la soluzione di un mistero lungo trentuno anni. Sono infatti due le persone iscritte nel registro degli indagati dopo la recente riapertura del caso relativo alla brutale uccisione di Matteo Toffanin, freddato a 23 anni la sera del 3 maggio 1992 in via Tassoni a Padova mentre rincasava dal mare con la fidanzata Cristina Marcadella. Anche la giovane, che rimase ferita alle gambe, è stata riascoltata in questi giorni dagli inquirenti. Oggi invece toccherà a Marino Bonaldo, colui che sarebbe stato la vittima designata dell’agguato. Nelle ultime settimane sono emersi dei dettagli che hanno spinto il pubblico ministero Roberto D’Angelo ad aprire un nuovo fascicolo d’indagine. La Squadra mobile della questura, delegata dalla Procura, investiga per omicidio volontario premeditato.

Le novità sull'omicidio di Matteo Toffanin

I due nomi nuovi, innanzitutto. Si tratta di due persone che gravitano sulla zona di Padova. Una pista dunque per il momento diversa rispetto a quella intrapresa negli anni Novanta, quando furono indagati 4 pregiudicati siciliani in odor di mafia. Lo scambio di persona fu presto acclarato e circa il movente della volontà di uccidere Bonaldo si pensò a un regolamento di conti interno all’ambiente del narcotraffico su vasta scala, con collegamenti tra il Veneto e la Sicilia. La conclusione a cui giunse la Mobile nel 1995 era che Bonaldo dovesse essere eliminato per aver intascato, senza pagarla, una sostanziosa partita di eroina e cocaina proveniente da Milano. Cosa che gli sarebbe costata anche precedenti intimidazioni.
Le due persone oggi indagate non avrebbero invece legami con i malavitosi siciliani. Un’altra pista però riguarda i legami che il Bonaldo avrebbe avuto all’epoca dei fatti con la Mala del Brenta di Felice Maniero, tanto da maturare numerosi precedenti penali per traffico di droga e rapine. Oggi sarà una giornata campale per la nuova indagine. In Procura infatti il pubblico ministero D’Angelo ha convocato Marino Bonaldo. L’uomo, oggi settantenne, sarà chiamato a rispondere a molte domande, a partire dai suoi eventuali sospetti sull’identità di coloro che in quel maggio 1992 avevano l’intenzione di freddarlo a colpi di pistola davanti a casa. Se, dopo oltre trent’anni di silenzio, l’uomo deciderà di parlare, potrebbe dare l’impulso decisivo alle indagini per dare giustizia a Toffanin. Giustizia che per tre decadi, in ogni anniversario della tragedia, è stata chiesta a gran voce dalla famiglia e dalla allora fidanzata di Matteo, Cristina Marcadella.

Anche la donna nei giorni scorsi è stata nuovamente ascoltata dagli inquirenti della Squadra mobile per ricostruire le tappe di quella tragica serata.

La vicenda

Quel 3 maggio era una domenica. Matteo, 23 anni, e Cristina, 25, avevano trascorso la giornata al mare. Alle 22 lui l’ha riaccompagnata a casa, in via Tassoni, nel quartiere Guizza. Marcadella abitava al civico 4. Una serata qualunque per la coppia, tranne che per un dettaglio. Toffanin quel giorno non aveva guidato la sua Lancia Delta, rimasta in panne, ma la Mercedes 190 bianca che aveva chiesto e ottenuto in prestito dallo zio. Prestito che gli fu fatale, perché quell’auto era in tutto e per tutto identica a quella di Bonaldo, che viveva anche lui in via Tassoni ma al civico 11, proprio davanti a casa di Cristina. Addirittura le prime cifre della targa erano le stesse e proprio questo avrebbe tratto in inganno i sicari. Il tempo di accostare lungo la strada e salutare la fidanzata e Matteo Toffanin è stato crivellato di colpi. Proiettili che si sono conficcati nella carrozzeria della Mercedes e che lo hanno colpito in pieno, senza lasciargli scampo. Accanto a lui Cristina, ferita alle gambe, sommersa dal sangue, dal panico, dal terrore. Un paio d’ore più tardi, mentre via Tassoni era invasa da lampeggianti e agenti della polizia accorsi sul posto, era rincasato anche Bonaldo. Da subito si capì che Toffanin, brillante giovane che lavorava come rappresentante per una ditta di computer, non poteva essere il bersaglio designato di quell’esecuzione. Oggi, dopo 31 anni, si attendono però ancora risposte sull’identità degli assassini

Ultimo aggiornamento: 07:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci