PADOVA «Aycha non è stata creduta dalle autorità. C'erano tutti i segnali per emettere una misura restrittiva nei confronti del marito e poi non sono stati sentiti i figli, vittime di violenza assistita».
LA DENUNCIA «Aycha, dopo avere denunciato ai carabinieri il marito per maltrattamenti - ha ripreso Zanni - si è rivolta a noi. Era una donna impaurita, che voleva troncare la relazione con il compagno e nello stesso tempo proteggere i suoi figli. Doveva venire per un secondo incontro, ma ha avuto un problema logistico. Era già pronto l'iter per mettere lei e i suoi figli in un programma di protezione. Aspettavamo la misura restrittiva nei confronti del marito come chiesto dai carabinieri, ma questa non è arrivata. E lei in quei giorni subiva la costante pressione del compagno, che la rivoleva a casa». Zanni è un fiume in piena, tanta è la rabbia per una morte che a suoi dire si poteva evitare: «L'autorità non ha creduto ad Aycha, ed è passato un messaggio molto negativo per tutte le donne vittime di violenza. Lei era andata a casa di un'amica con i figli, ma quando ha capito che nessuno fermava il compagno e che i suoi tre bambini volevano tornare a casa, ha rimesso la querela ed è rientrata nell'abitazione di famiglia». E infine: «Ripeto, i segnali per una misura restrittiva nei confronti del marito c'erano tutti. Quando lei è andata a presentare querela, lui continuava a chiamarla al telefonino. Dimostrare le violenze domestiche non è mai facile, i figli dovevano essere sentiti. E poi quale gelosia, lui è solo possessivo controllava ogni movimento di Aycha». Ma le dichiarazione della presidente Zanni, non trovano riscontro da quanto, già nei giorni scorsi, ha detto il procuratore capo Antonino Cappelleri: «Sia i carabinieri e sia la procura hanno agito nel pieno rispetto della legge».
LE INDAGINI Gli inquirenti, dopo l'autopsia, effettueranno un nuovo sopralluogo nell'abitazione di Cadoneghe. Obiettivo, trovare eventuali microfoni e telecamere installati dall'indagato per spiare la moglie. Ma non solo, anche cercare lettere o messaggini nel cellulare di lei spediti dal magazziniere di 39 anni. E poi quel coltellaccio da cucina, con cui Abdelfettah Jennati ha trafitto per due volte il petto della moglie. Chi indaga è convinto che possa essere stato acquistato per commettere il femminicidio. Insomma, gli inquirenti stanno battendo la pista della premeditazione. Intanto Fabio Targa, legale dell'indagato, sta preparando la linea difensiva. «Si è avvalso della facoltà di non rispondere - ha spiegato - perchè versa ancora in uno stato confusionale. Dentro la sua testa sente delle voci. Io chiederò a un mio amico medico una perizia psichiatrica. Il mio assistito è stato seguito a Catanzaro da un centro di sanità mentale e poi in famiglia ha un precedente di malattia mentale». L'avvocato poi torna sulla remissione di querela da parte della vittima e sul loro ritorno insieme. «Si sono riappacificati - ha spiegato Targa - per il bene dei bambini. E poi lui è un bravo padre, un grande lavoratore e non ha precedenti penali». E Abdelfettah Jennati dal carcere continua a ripetere: «Mi dispiace per quello che ho fatto. Amo mia moglie e sono preoccupato per i miei figli».