«Incubo Bibbiano, così ci hanno sottratto nostra figlia di 40 giorni»

Giovedì 1 Agosto 2019 di Angela Pederiva
«Incubo Bibbiano, così ci hanno sottratto nostra figlia di 40 giorni»
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Prima di Bibbiano, c’è stata Padova. Un caso piccolo per le statistiche, ma grande per le sofferenze, patite da una famiglia del Veneziano su cui per 9 mesi sono gravati i sospetti di maltrattamenti nei confronti di una neonata, mossi da alcuni medici dell’Azienda Ospedaliera, ma cancellati dai magistrati del Tribunale per i Minori e della Procura. Per questo ora che la bimba è tornata a casa, i suoi genitori hanno deciso di fare causa alla struttura sanitaria, chiedendo un risarcimento danni di 100.000 euro.
Ripercorrendo gli atti della vicenda, tutto comincia alle 10.40 del 24 febbraio 2016, quando la mamma esce di casa e, nel voltarsi a chiudere il portone, fa involontariamente cadere dall’ovetto la figlioletta di appena 40 giorni. «Le cinture della chiusura si erano incastrate nel giubbotto», spiegherà poi la giovane donna, allarmata per una vistosa ferita alla lingua della piccola, che viene dapprima portata al Pronto Soccorso di Mirano e quindi trasferita al Pronto Soccorso Pediatrico di Padova. A causa dell’abbondante sanguinamento, alle 15.07 la piccina entra in sala operatoria, dove viene sottoposta a una trasfusione e a un intervento. «Dopo un ricovero di tre giorni di degenza nel reparto di Pediatria – scrive l’avvocato Matteo Mion nel ricorso – madre e figlia venivano trasferite, a loro insaputa e in assenza di ogni valido consenso, nel reparto dell’unità di crisi denominata “Casa del bambino maltrattato”». Da quel momento in poi, un banale incidente domestico si trasforma in un’inquietante odissea giudiziaria. Scattano gli accertamenti sulla coppia e sulla bambina, nei cui capelli il 7 marzo viene riscontrata la presenza di cocaina. I test tossicologici risultano negativi per il padre, mentre per la mamma emerge una positività al tramadolo, principio attivo di un antidolorifico che le è stato somministrato in ospedale a Mirano in occasione del ricovero per parto cesareo, come risulta dalla cartella clinica.
LE SEGNALAZIONI
Ma ormai l’incubo è cominciato. Alcuni medici della struttura, che fa capo al Dipartimento di salute della donna e del bambino, sono convinti di trovarsi di fronte a una situazione di dipendenza da sostanze stupefacenti, tanto che la degenza forzata di mamma e figlia continua per 45 giorni. Nel frattempo il 17 e il 31 marzo i sanitari trasmettono due segnalazioni alla Procura presso il Tribunale dei Minorenni, il quale il 9 aprile emette il decreto con cui sospende la responsabilità genitoriale della coppia e pone la piccola in ambiente protetto, tanto che due giorni dopo viene collocata in una comunità insieme alla mamma, che su Facebook esce dall’anonimato per rispondere alle facili accuse dei leoni da tastiera: «Questa è follia ragazzi, sono la mamma in questione, noi amiamo immensamente la nostra bambina!! È stato un incidente, auguro a tutti voi che puntate il dito senza conoscere noi né l’accaduto di non trovarvi mai e poi mai in una situazione del genere!». Con loro si schiera anche il parroco del paese: «I genitori sono bravissimi ragazzi e io ci metto la mano sul fuoco». Confida adesso l’avvocato Mion: «Quando il papà disperato mi contatta per chiedermi cosa deve fare, mi sorge un dubbio: possibile che una donna sospettata di aver tranciato la lingua alla figlia, e di fare uso di cocaina, venga lasciata con lei in una casa-famiglia, senza che la Procura della Repubblica venga informata di nulla? A quel punto la allertiamo noi, perché se una madre è una criminale, va arrestata, non è sufficiente toglierle la potestà genitoriale». 
LA CONSULENZA
Così a Venezia viene aperto un fascicolo a carico di ignoti e viene commissionata una consulenza tecnica d’ufficio al medico legale Silvano Zancaner e al tossicologo forense Giampietro Frison. La lesione viene ricondotta alla caduta accidentale, «non essendo presenti dati obiettivi di competenza medico legale che suggeriscano una ipotesi alternativa». Quanto alla droga, «si è escluso che il padre sia o sia mai stato consumatore di sostanze stupefacenti» e la positività al tramadolo della madre «è spiegabile con la rilevante somministrazione proprio di quel farmaco dopo il parto». E la cocaina? Il tecnico non esclude che la contaminazione sia «avvenuta in ambiente ospedaliero», anche se su questo e sugli altri punti per ora l’Azienda non rilascia dichiarazioni. Comunque sia, per i consulenti del pubblico ministero i genitori hanno sempre detto la verità, che finalmente viene accolta anche dai giudici. Infatti il Tribunale per i Minorenni il 25 maggio revoca la sospensione della responsabilità genitoriale («essendo apparsa la madre adeguata nella cura della figlia e attenta ai suoi bisogni evolutivi e il padre molto affettuoso e presente, sempre interessato alle esigenze della bambina») e il 21 novembre cancella pure l’affidamento della piccina al servizio sociale (in quanto «entrambi i genitori sono risultati adeguati e dotati delle risorse personali necessarie per provvedere alla crescita della minore»). Pure l’inchiesta penale viene archiviata.
IL RICORSO
Da allora sono trascorsi tre anni, ma il trauma vissuto dalla famiglia fa ancora male. «L’errore diagnostico e l’inspiegabile gravissima condotta dei sanitari della “Casa del Bambino maltrattato” determinavano gravi nocumenti, patrimoniali e non patrimoniali, sia alla piccola sia ai genitori», si legge nel ricorso presentato per conto della coppia al Tribunale di Padova, il cui consulente tecnico Francesco De Ferrari ha evidenziato «l’eccessiva sospettosità dei sanitari». Dice l’avvocato Mion: «Purtroppo per noi Bibbiano non è stato una novità, perché ci siamo già passati. L’approfondimento istruttorio spetta alla magistratura, ma ritengo che trattenere in ospedale una famiglia, senza esigenze di cura, costituisca qualcosa tra il sequestro di persona, l’abuso d’ufficio e la violenza privata. Così come penso che non comunicare alla Procura della Repubblica il sospetto che una mamma abbia tagliato la lingua alla figlia, da parte di un medico che è un pubblico ufficiale, sia un’omissione di atti d’ufficio. Tutto questo mi fa propendere per il dolo, più che per semplice superficialità». 
Ultimo aggiornamento: 15:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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