PADOVA Era il 9 agosto del 2006, quando per la prima volta si parlò del Muro di via Anelli.
L'EVENTO È una data storica per Padova, quindi, quella odierna e Zanonato assisterà all'operazione di smantellamento. Ma come mai 14 anni fa pensò di realizzare un muro? «La verità - racconta - è che me lo chiese il questore Alessandro Marangoni, diventato poi vicecapo della Polizia, perché quando in via Anelli arrivavano gli agenti, gli spacciatori fuggivano dentro al cortile del complesso Serenissima e si dileguavano scavalcando la rete fatiscente al confine con via De Besi, attraverso la quale si passavano anche le bustine di droga. Chiamai l'ingegner Umberto Rovini, funzionario che dirigeva i Lavori Pubblici, e gli chiesi di trovare una soluzione. Mi propose di montare una recinzione utilizzando lamiere di acciaio che si usano per coprire i buchi sulle strade. Ne avevamo in magazzino e quindi diedi il via libera. Venne fatto un cordolo in cemento per tenere le putrelle a cui poi si agganciarono le lastre ferrose. Alla fine l'effetto allora, e ancora oggi, era proprio quello di un muro... Ricordo che vennero a intervistarmi dalla Francia e dalla Spagna, e che ebbi una discussione con un giornalista iberico che sosteneva che avessi chiuso dentro gli stranieri. Ma non era così, anzi». L'ex sindaco, diventato poi ministro ed europarlamentare, non si è mai pentito di quella scelta. «La rifarei anche oggi se mi trovassi nella stessa situazione - spiega guardando il muro quasi con affetto - perché l'obiettivo di complicare la vita agli spacciatori è stato centrato. In giunta avevo Daniela Ruffini, assessore di Rifondazione, che mi appoggiò, così come il governo. A volte atti simbolici possono avere funzioni diverse da quelle che ci si aspetta. Nella fattispecie, quando ho deciso di realizzarlo non avrei mai pensato che sarebbe diventato una delle cose più apprezzate, anche dai residenti di colore. La gente ha percepito che la stavo difendendo dagli spacciatori. Fino a quel momento avevamo provato con ogni mezzo a scoraggiare i pusher, persino posizionando dei new jersey in cemento sulla strada per evitare il passaggio della droga tra venditori e tossicodipendenti. Ma alla fine solo il muro è servito, come mi confermavano dalla Questura». Lei l'ha fatto costruire e oggi verrà ad applaudire la demolizione. «È così. Ma non tutto quello che abbiamo visto qui è stato negativo: c'erano i bimbi stranieri che giocavano a calcio, le donne sorridenti con i vestiti variopinti, il barbiere e il ristorante etnico, che davano vita a una micro comunità di persone positive. Ci sono anche ricordi belli, quindi, di quel periodo. Oggi mi porterò a casa un pezzetto di muro. Lo metterò nel mio studio: no, non è stato negativo chiamarlo così».
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