Addio Ennio Doris: mr. Mediolanum. Da Padova alla grande Milano, il banchiere della porta accanto

Giovedì 25 Novembre 2021 di Edoardo Pittalis
Addio Ennio Doris, da Padova alla grande Milano, il banchiere della porta accanto

Nella Tombolo del dopoguerra, Alta Padovana, il paese dei mediatori di bestiame, tutti si chiamavano Andretta, Beghetto, Pilotto e qualcuno Doris e Baggio. Alle elementari Giuseppe Beghetto e Ennio Doris erano compagni di banco, andavano a scuola in bicicletta e tifavano per Fausto Coppi.

Uno avrebbe vinto la medaglia d'oro col tandem alle Olimpiadi di Roma del 1960, l'altro sarebbe diventato uno degli uomini più ricchi d'Italia. «Già allora lui non si limitava a pedalare, voleva sempre vincere», ricorda Beghetto. L'uomo che ha convinto molti italiani ad affidargli i risparmi da investire, ripeteva: «Io mi sento sempre uno sfidante». Era il quarto più ricco d'Italia e come titolo della sua autobiografia aveva scelto C'è anche domani. Ennio Doris che dal nulla ha creato un impero, imprenditore, banchiere, fondatore di Banca Mediolanum, per quarant'anni protagonista della grande finanza italiana, esce di scena in una notte di fine novembre a 81 anni.


BOOM

È, con Del Vecchio, certo il veneto più famoso che si è fatto da solo dopo la stagione del boom. È stato lo storico alleato, il consigliere, l'amico e il partner d'affari di Silvio Berlusconi. Si racconta che siano diventati soci sulla piazzetta di Portofino, Berlusconi è un signore del mattone e si è appena affacciato al mondo della tv, in un'intervista ha appena dichiarato che chi ha idee può rivolgersi a lui. Doris crede nell'investimento dei risparmi, in quello che chiama Programma Italia, ha una strategia che ha battezzato Quattro D: diversificare gli investimenti nel tempo, nel tipo, nelle aree geografiche e nei mercati dei paesi emergenti. Il mito aziendale racconta che le banche non lo ascoltano e, invece, Berlusconi gli dà fiducia e lo affianca. E i due diventano soci e amici. È allora che Ennio Doris irrompe a gamba tesa nella finanza italiana. Da Tombolo alla Borsa di Milano, famiglia appresso perché per lui la famiglia è una filosofia di vita e d'impresa.


Il padre faceva il mediatore, forse aveva disegnato quel futuro anche per il figlio. Tombolo con la sua piazza è il centro del mercato della carne, i contratti si siglano alla Trattoria dei mediatori che c'è da 120 anni, tra pasta e fagioli e trippa, per concludere basta una stretta di mano. Nonno e padre, gran fumatore di Edelweiss, facevano quel mestiere e Ennio non sembra poter sfuggire, chiaro di carnagione, occhi azzurri, curvo sui pedali come faceva Coppi, fino a quando una malattia lo costringe a una lunga degenza. È allora che legge come un matto e studia per il diploma di ragioniere. «Mi svegliavo alle sei di mattina e mi precipitavo in cucina, l'unico posto riscaldato di casa, poi in bicicletta per la stazione, il treno per Treviso partiva alle 6.32». Trova un posto in banca, agli sportelli della Antoniana di San Martino di Lupari, e si sposa con Lina Tombolato. Per un istante lo attrae la politica, soprattutto la Dc, il padre lo sconsiglia: «Non star a guardare i partiti. Guarda gli arrivati».
Il giovane è ambizioso, sa trattare con i clienti, ha fiuto, incomincia l'escalation e trova un padrino d'eccezione, l'industriale Dino Marchiorello, poi presidente della Banca Antoniana. Nel 1969 lo fa nominare direttore delle Officine Meccaniche Talin di Cittadella, una fabbrica con 150 operai. Doris regge il peso e fa crescere il fatturato. Dice che un giorno capisce di volersi «mettere al volante della vita» e accade quando va a un appuntamento con Marchiorello spingendo una vecchia Fiat 850 con più di centomila chilometri e l'altro arriva a bordo di una fiammante Citroen Pallas con moquette. Lascia e si getta in un settore nuovo, quello della consulenza finanziaria, prima con la Fideuram, poi con la Ras che lo mette a capo di 700 agenti che porterà con sé nella nuova avventura, tutti disposti a seguirlo. Milano e Berlusconi gli cambiano la vita. Diventa capo degli investimenti del Biscione, gestisce un patrimonio che supererà nel 1993 i 10 mila miliardi di lire. La holding Fininvest vuol dire: Mediolanum Assicurazioni e Vita, 15 fondi di investimento, la rete vendita di Programma Italia, tremila consulenti globali. Un colosso fondato nel 1981 di cui Doris è capo e socio di Berlusconi.
Al 50% di Programma Italia e alle quote in altre società, aggiunge un quarto della holding. Naturalmente quando Berlusconi entra in politica, lui non si tira indietro, è tra i fondatori dei Club Forza Italia nel Veneto, spiega che l'economia è il motore di ogni società organizzata, viene presentato come l'uomo forte del team economico-politico del Cavaliere. E quando Berlusconi arrivato a Palazzo Chigi deve rispondere alle accuse di conflitto di interessi e passare la mano ad altri, è al vecchio socio che apre le porte dell'impero. Doris crede nel futuro dei prodotti finanziari e assicurativi, acquista dalla Montedison l'azienda agricola della Torviscosa in Friuli, quasi 4.000 ettari. Apprezza i tentativi di cambiare la finanza: «Dimostrano che non esistono più santuari».


NEW ECONOMY

Della New Economy dice che «è come la corsa all'oro del vecchio Far West e i clienti sono come le pepite». Non cambia opinione sull'amico Silvio nemmeno quando la Fininvest passa attraverso la richiesta di congelamento da parte della Banca d'Italia per la perdita di requisiti di onorabilità dell'ex premier. Abbandona il simbolo del Biscione e ricorrere più modestamente al cerchio dello slogan di una banca costruita intorno a te. Per lui «Silvio è un dono di Dio».
Non rinuncia a tornare ogni settimana a Tombolo. Nella sua villa controllata a vista dalle guardie del corpo gioca interminabili partite a carte con gli amici d'infanzia. Dice che Zefferino Andretta detto Ardito è l'unico al quale obbedisce. E con Beghetto detto Ondo, compare di nozze, Iseo Baggio detto Alba e Pilotto e pochi altri si sfidano alla briscola dei rioni: 36 carte in sei persone, tre contro tre. Una sfida durata più di quarant'anni. L'uomo ha affinato il fiuto per gli affari, si è allargato, ha scalato anche il salotto buono, è entrato in Mediobanca, nel ricco mercato televisivo. Per la festa dei 20 anni del Gruppo Mediolanum rivendica di aver abbattuto le barriere che il vecchio mondo finanziario aveva eretto, di aver fatto nascere il consulente globale. Si racconta in un libro che ripercorre la vita, dalla lezione cristiana del parroco don Armando a quella della madre donna devota. Il Cuoa gli consegna la laurea honoris causa in Banca e Finanza. La Repubblica lo fa Grande Ufficiale e Cavaliere.
A 80 anni lascia al figlio Massimo la presidenza, in quel momento la sua banca vale più di 6 miliardi di euro e conta più di ottomila dipendenti. Dona 5 milioni di euro alla Regione Veneto per l'emergenza Coronavirus. Esce di scena proprio mentre l'ultimo spot in tv racconta l'avventura di un uomo partito da un piccolo paese veneto e arrivato nella grande città degli affari.

Ultimo aggiornamento: 10:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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