Gemo lascia Monselice e trasferisce a Padova il suo centro studi sull'Etnodramma

Mercoledì 13 Gennaio 2021 di Camilla Bovo
Fabio Gemo lascia Monselice e trasferisce la sua struttura a Padova

Fabio Gemo lascia la città murata. E con lui il suo Centro Studi sull’Etnodramma, nonché la scuola di cinema documentario etnografico, la prima e unica in Italia, che ogni anno accoglie dieci studenti da tutta la penisola, ai quali offre una cultura a 360 gradi sul tema, dalla produzione di documentari alla raccolta di materiale il cui scopo è la ricerca etnografica e la divulgazione scientifica. Neppure l’Etnofilmfest, la grandiosa kermesse che è riuscita a portare all’ombra della Rocca nomi del calibro di Cecilia Mangini, Alejandro Jodorwsky e Eugenio Barba, sarà mai più organizzata a Monselice. Dal prossimo mese di settembre questa eccellenza culturale si sposterà a Padova, in via Beato Pellegrino, proprio di fronte al polo universitario, dove la scuola si completerà con la sede del Cse e con una libreria specializzata in teatro, cinema e antropologia.
Ma perché Gemo è arrivato a prendere una simile decisione? A spiegarne le dolorose ragioni è lo stesso regista, aprendo le porte della sede in via Montericco, dove si notano subito le infiltrazioni sul soffitto, dalle quali piove dentro, «come ormai segnalo da un anno e mezzo al Comune». «La verità è che negli ultimi venti anni le amministrazioni comunali che si sono succedute non solo non mi hanno supportato, ma a malapena mi hanno sopportato – dichiara Gemo – non voglio polemizzare con nessuno: per farlo dovrei avere un interlocutore e qui a Monselice non l’ho mai avuto. Potrei raccontare vent’anni di vergogna, decine e decine di situazioni che mi hanno messo in terribile imbarazzo». Fin dal quel 2000, anno in cui Gemo ha organizzato il Congresso mondiale di antropologia, molte persone del settore hanno continuato a chiedergli perché fosse rimasto nella sua città natale. «Io amo Monselice, per la sua storia e la sua cultura – spiega Gemo – e allo stesso tempo la detesto da sempre per la dimensione sociale. Credo fermamente che nei piccoli centri si possano fare le cose migliori, ma per farle serve un’amministrazione lungimirante. Monselice non ci ha mai creduto. Io l’ho fatto anche troppo a lungo, non ho rimpianti».
Fabio Gemo è convinto che uno dei problemi della città sia la mancanza di spazi attrezzati, sia chiusi che all’aperto. «Non c’è una sala pubblica in cui organizzare eventi e neppure uno spazio attrezzato all’esterno – chiosa – emblema di quanto poco interesse ci sia è la Cava della Rocca. È uno spazio unico nel suo genere, senza uguali in Europa, un anfiteatro naturale in cui potrebbe essere organizzata una stagione, da maggio a settembre, di grandissimo livello. E invece è ancora tutto fermo dai tempi del sequestro. E nelle migliori delle ipotesi se ne parla come di un parcheggio». Conclude Gemo: «È questo che Monselice non sa proprio fare: puntare sulle proprie unicità. Qualche altro esempio? I Santi, il culto di San Valentino. Si potrebbero organizzare cose grandiose, altro che qualche palloncino a forma di cuore. Invece si sono incartati in manifestazioni copia di cento altre, come le varie rievocazioni storiche. E allora sapete che dico? Che mi hanno fatto un favore tagliando l’Etnofilmfest. Perché mi hanno dato un motivo per recidere questo legame affettivo con la mia città. Perché è così che la voglio vedere: non sono io che me ne vado. Sono loro che restano».
 

Ultimo aggiornamento: 07:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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