PADOVA - Uno sguardo speciale è dedicato ai bambini. Il Servizio sociale dell’area materno infantile ha sede al terzo piano della Clinica Ginecologica. Opera con i vari reparti del Dipartimento di Salute della donna e del bambino, intervenendo a seguito di situazioni rilevate e segnalate da medici e operatori. Nel 2021 sono stati seguiti 99 bambini appartenenti a 88 nuclei familiari con 160 figli (range 1-8 figli a testa), di questi il 68% erano stranieri.
«Il numero delle segnalazioni sia in campo materno infantile che in quello degli adulti è in continua crescita - afferma Greta Bordignon, referente del Servizio sociale ospedaliero in Direzione medica -. Grazie al nuovo progetto di unificazione e riorganizzazione aumenterà ancora la sensibilità su questi temi, al fine di creare una forte e coesa cultura aziendale in materia di servizi sociali. Tra gli obiettivi futuri c’è la standardizzazione della cartella sociale informatizzata, ovvero un fascicolo che rappresenta il processo di aiuto, raccoglie relazioni, documenti e contiene i dati oggettivi della persona. Si tratta di uno strumento fondamentale per fare rete tra enti e creare progetti cuciti sull’assistito, dove la persona è al centro».
IL QUADRO LEGISLATIVO
Oltre a 331 colloqui, si registrano anche 933 prestazioni di connessione, integrazione e coordinamento dentro l’ospedale con i reparti, gli ambulatori e i servizi pediatrici e fuori dall’ospedale con i Servizi sociali e sociosanitari dei Comuni e delle Ulss, le articolazioni della giustizia minorile e delle forze dell’ordine, l’associazionismo, il terzo settore, la scuola. Oltre a 70 relazioni sociali o socio-sanitarie indirizzate all’autorità giudiziaria Minorile o ai Servizi Sociali di Protezione Minorile e 90 refertazioni scritte ai reparti.
I PROBLEMI
«Nel 69% dei casi l’attivazione del Servizio sociale ospedaliero viene chiesta per intraprendere percorsi di aiuto e protezione verso pazienti di minore età che vivono in contesti familiari problematici caratterizzati da consumi di sostanze stupefacenti o patologia mentale dei genitori, alta conflittualità, incapacità di comprendere o sostenere i bisogni sanitari e sociali dei figli. O neonati di madri che partoriscono in anonimato - aggiunge Bordignon -. Nel 15% di questi casi serve una prima valutazione del contesto familiare e ambientale del bambino. Nel 31% creare o sostenere percorsi di aiuto alla famiglia su azioni da intraprendere in situazioni di povertà economica, abitativa, linguistico-culturale, mancanza di permesso di soggiorno, impossibilità di dare assistenza al figlio in ospedale o ai figli rimasti a casa. Nel 17% di questi casi sono stati i genitori a chiedere informazioni sui benefici per il figlio malato e le agevolazioni lavorative possibili, la copertura sanitaria per bambini stranieri irregolari, l’organizzazione del trasporto alle visite mediche dei figli laddove non possono provvedere in autonomi. Ma anche le situazioni di fragilità relazionali legate alla patologia del figlio, il rientro a scuola del bambino malato o l’attivazione della scuola a domicilio e l’assistenza dei fratelli del paziente, rimasti soli a casa».
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