«Dal Covid ai dolori articolari, noi medici di base sotto pressione»

Domenica 1 Novembre 2020 di Nicoletta Cozza
«Dal Covid ai dolori articolari, noi medici di base sotto pressione»
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PADOVA -  Dalle 9 alle 21 in ambulatorio, non stop. Ma il lavoro a quell’ora non è ancora finito visto che, una volta chiusi blocco delle ricette e pc, riposti fonendoscopio e misura pressione, e presa la strada di casa, il cellulare continua a suonare. Con sms e whatsapp, che arrivano pure a tarda sera. Perché l’incubo del Covid manda nel panico la gente al punto che non ha più remore nel cercare rassicurazioni. Questa, quindi, è la giornata-tipo di un medico di famiglia, che deve conciliare la valanga di richieste inerenti il Coronavirus e le vaccinazioni anti influenzali, con l’attività diagnostica di routine, che non c’entra con la pandemia. Domenico Crisarà, appunto medico di base, nonché segretario regionale e vice nazionale della FIMMG, Federazione che in città ha oltre 600 iscritti, non ha esitazioni nel raccontare la marea di problemi che lui e i colleghi ogni giorno devono affrontare.

I medici in prima linea nel Covid Point: meno di 30 anni, appena laureati o specializzandi

TREVISO La maggior parte ha meno di 30 anni.

Alcuni si sono appena laureati, altri si stanno specializzando. Sono i medici in prima linea contro il coronavirus nei Covid Point dell'Usl della Marca. L'epidemia ha stravolto il consueto percorso formativo. E loro non si sono tirati indietro.


IL DETTAGLIO
E per dare un’idea parte dai numeri. «Quotidianamente - racconta - le visite in studio sono 40, ma non di gente con il Covid, bensì di chi ha cistite, bronchite, noduli al seno o, come gli anziani, dolori articolari. E in 2 giorni abbiamo fatto 1.200 vaccini. A tutto ciò si aggiunge l’impatto da assoluta psicosi da Covid. Io sono in un ambulatorio con altri medici e abbiamo 2 segretarie che dalle 8 alle 19, a parte la breve pausa pranzo, non hanno un minuto di tregua con il telefono. Il must è la richiesta del tampone, che la gente pretende anche quando non ci sono i presupposti, stabiliti dall’Istituto superiore di sanità e dal buonsenso. A volte servono ore per convincere le persone che non c’è ragione di farlo se per esempio 10 giorni prima hanno avuto un contatto con un soggetto, il quale a sua volta aveva incrociato un positivo. Ma si fa fatica a farlo capire e a volte alcuni di noi, presi per sfinimento, cedono al “martellamento” dovuto a paure irrazionali. E se la risposta è “no”, il rischio è di compromettere il rapporto fiduciario medico-paziente».

Ma tra chi chiama c’è anche chi chiede del medico adducendo i pretesti più assurdi. «Basta uno starnuto, o un colpo di tosse, e si precipitano tutti pensando di avere il Covid. Se questo non fosse un periodo di tragedia - commenta - direi che viviamo scene da commedia, come quando ci domandano se vanno disinfettati gli articoli comprati al supermercato, borsa compresa, o se si devono levare le scarpe prima di entrare in casa... Ecco, noi magari mentre stiamo visitando un malato con qualcosa di serio, dobbiamo rispondere al telefono a chi domanda questo».


Ma poi c’è un altro assillo per i camici bianchi. «In aggiunta - dice ancora Crisarà - c’è la valanga di istanze per ottenere i certificati medici per stare a casa dal lavoro, che noi non possiamo rilasciare se non arriva la comunicazione del Sisp, Servizio Igiene e sanità pubblica. Fortunatamente a questo problema Zaia ha posto rimedio poche ore fa autorizzandoci a procedere direttamente dalla prossima settimana, ma fino a oggi questo è stato un vero incubo. Che si somma a quello che si crea quando un soggetto è positivo al tampone, con i contatti da tracciare. Per non parlare del fatto che siamo subissati di telefonate anche da parte di chi ha fatto il tampone e un’ora dopo vuole l’esito, quando ci vogliono due giorni per conoscerlo».


LA SCUOLA
C’è poi la confusione che regna nel mondo scolastico ad appesantire il fardello dei medici di base. «Ho fatto una segnalazione al Dirigente dell’ufficio scolastico regionale perché siamo alla follia. Dalle scuole arriva un assalto ai nostri studi, perchè è sufficiente che ci sia un ragazzo positivo, per far partire la comunicazione affinché tutti i genitori si facciano l’impegnativa per il tampone. Un delirio, quindi, che porta via tanto tempo, con il rischio che si ritardino le diagnosi per tutti gli altri: io stesso, in mezzo a tale tsunami, ho letto un Holter dieci giorni dopo il referto. Però una cosa dev’essere ben chiara: né io, né i miei colleghi, ci lamentiamo, ma è necessario un maggiore senso di responsabilità, perchè dobbiamo lavorare con serenità, e non trascorrere mezza giornata al telefono per rispondere a richieste assurde». E la conclusione del dottor Crisarà è emblematica. «Sono tentato di attaccare il cartello che ha affisso un mio collega napoletano e che dice “si avvisano i pazienti che dopo la quindicesima visita, rischio di sbagliare diagnosi”. Con 40 visite, e altrettante telefonate, è impossibile mantenere la concentrazione».

Ultimo aggiornamento: 10:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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