Ucciso dal carabiniere. «Ci dicevano che era sedato, invece era morto»

Giovedì 19 Luglio 2018 di Maria Elena Pattaro
Ucciso dal carabiniere. «Ci dicevano che era sedato, invece era morto»
11
SANT'URBANO - Avrebbero dovuto testimoniare tutti e quattro i famigliari di Mauro Guerra, il 32enne di Sant'Urbano freddato il 29 luglio del 2015 da un colpo di pistola sparato poco distante da casa sua, dal maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro, alla sbarra degli imputati per omicidio colposo per eccesso di legittima difesa. Invece ieri pomeriggio in tribunale a Rovigo, per la seconda udienza del processo, sono state sentite solo la sorella Elena e la madre Giuseppina, incalzate dalle domande dei legali delle parti, del pm Fabrizio Suriano e del giudice monocratico Raffaele Belvederi. Dopo quasi 4 ore, l'udienza si è conclusa con un rinvio al 3 ottobre, quando saranno sentiti il padre Ezio Guerra e il fratello Jacopo, assistiti dall'avocato Alberto Berardi. Ma nell'aula di Rovigo non sono mancati i colpi di scena, a partire dalla richiesta iniziale della difesa, affidata all'avvocato Stefano Fratucello, di procedere a porte chiuse o di esonerare la stampa, revocando l'autorizzazione alle riprese accordata alle telecamere della Rai. 
 
L'eco mediatica dell'omicidio Guerra, infatti, sarebbe all'origine della lettera anonima con minacce di morte ricevuta nei giorni scorsi da Pegoraro, presente in abiti civili. La richiesta è stata respinta. La prima a testimoniare è stata Elena Guerra, sorella di Mauro, che con la madre si è costituita parte civile con l'avvocato Fabio Pinelli, che le ha chiesto di ripercorrere il tragico pomeriggio di 3 anni fa. «Alle 13.30, davanti alla casa dei miei genitori c'erano un'ambulanza e 10 carabinieri. Il brigadiere Sarto camminava nervoso dicendo: Portemolo via, basta, so stufo». I militari erano lì per convincere il 32enne a sottoporsi a un ricovero coatto, senza averne l'autorizzazione. Ma i famigliari non ne sapevano niente. «Alle 15 ho visto Mauro scappare in mutande fuori dal cancello e dirigersi verso la piazza e un campo, inseguito dall'ambulanza e dai 10 carabinieri. Un quarto d'ora dopo ho raggiunto anch'io il campo, senza potermi avvicinare: vedevo solo un gruppo di carabinieri accalcati attorno a un corpo disteso a terra». 
Uno dei militari le aveva detto che il fratello era stato sedato e lo avrebbero portato in ospedale. «Solo alle 17 ho saputo che era morto: ho pensato a un attacco cardiaco, invece mia mamma e mia cugina avevano letto poco prima sui social che c'era stato uno sparo». Il maresciallo Pegoraro, infatti, aveva messo mano alla fondina per intimidire Guerra che, nel tentativo di opporsi alle manette, aveva atterrato il brigadiere Sarto, colpendolo al capo e alle costole. L'ultimo colpo, sparato da un metro e mezzo di distanza, aveva colpito il 32enne al fianco, uccidendolo.
«Quando avevo chiesto spiegazioni a Pegoraro ha raccontato la madre Giuseppina non me ne ha date, anzi mi ha detto irritato: Lo sente? Ora lo sistemiamo noi. E dopo non avrà mica intenzione di riportarla a casa, questa porcheria». Affermazioni subito smentite dall'imputato, che ha reso dichiarazione spontanea: «Non ho mai offeso Mauro, anzi sono stato io ad avvicinarmi alla signora dicendo di non preoccuparsi». Il legale dell'imputato ha incalzato le due donne insistendo sui disturbi psichici diagnosticati al 32enne tra il 2012 e il 2013 e sulle denunce per molestie fatte da ragazze che Mauro frequentava. «Mauro aveva superato la crisi ha detto la madre ormai era sereno. Lo aveva detto anche un carabiniere il giorno prima».
Maria Elena Pattaro 
Ultimo aggiornamento: 11:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci