Massimo Puglisi: «Riconoscere un corpo mummificato? Il segreto è la pazienza...»

Domenica 31 Marzo 2019 di Lino Lava
Massimo Puglisi
PADOVA - Ha identificato cadaveri mummificati e quasi scheletrizzati. Le tecniche di esaltazione di creste papillari delle dita delle mani messe in atto dal dottor Massimo Puglisi sono considerate all'avanguardia anche in ambito internazionale. Già medico legale della Polizia scientifica del Triveneto, oggi è medico superiore, dirigente dell'Ufficio sanitario provinciale della Polizia di Stato e appartiene al gruppo Disaster victim identification della Polizia di Stato. È stato responsabile del team italiano nelle indagini per l'identificazione delle vittime nella tragedia del Cermis, nel 1998, dello tsunami in Thailandia, nel dicembre 2004, dell'attentato a Sharm El Sheikh, nel luglio 2005.
Dottor Puglisi, lei è noto come esperto nell'identificazione di corpi anche in avanzato stato di decomposizione. Che tecniche usa? «Quelle apprese durante il corso di specializzazione in Medicina legale all'Università La Sapienza di Roma. Servono attenzione e pazienza per non provocare la distruzione del reperto, fino all'assunzione dell'impronta utile ai fini identificativi».
Ha lavorato anni per specializzarsi nella pazienza?
«La pazienza è parte rilevante di me, e ne è riprova la passione per il mio hobby, il modellismo statico».
 
Come è cambiato il lavoro di identificazione negli ultimi trent'anni?
«Non molto. Il mio è un lavoro altamente professionale che unisce rigore scientifico alla ricerca del dettaglio».
Ha partecipato all'identificazione dei venti morti della tragedia del Cermis, quando un aereo americano tranciò i cavi della funivia. Ma come si fa ad identificare i 230 mila morti causati dallo tsunami del 2005?
«Uno dei più grandi disastri avvenuti, un'esperienza che mi ha profondamente segnato, dal lato umano e professionale. Ho operato fianco a fianco di colleghi di varie nazioni, spiegare le modalità di un contesto così complesso richiederebbe una pubblicazione a parte. Posso solo dire che è stato un grandissimo lavoro di squadra».
Ha partecipato anche al riconoscimento delle vittime dell'attentato di Sharm El Sheikh del 2005.
«Un lavoro particolarmente difficoltoso: bisognava individuare, oltre alle vittime, i kamikaze autori delle stragi».
Come avete fatto a riconoscerli?
«Sono stati identificati dalla polizia egiziana anche grazie alle impronte assunte dal team italiano sui resti dei cadaveri smembrati dalle esplosioni».
Come medico legale della polizia Scientifica del Triveneto, ha collaborato alle indagini sui delitti della mala del Brenta e di alcuni serial killer e all'identificazione delle salme riesumate dopo il pentimento di Felice Maniero. C'è stata una vittima che si sospettava essere della mala del Brenta mentre non era vero?
«Il fatto era avvenuto a Mestre durante i lavori di restauro di un edificio nei pressi della stazione ferroviaria. Venne rinvenuto un cadavere mummificato, una persona deceduta almeno da 20 anni. Il sospetto era che si trattasse di un delitto della malavita del Brenta, specializzata anche nel far sparire i cadaveri. Con le indagini di laboratorio per il rilievo delle impronte digitali ho identificato il cadavere: era quello di un muratore, caduto nella canna fumaria mentre eseguiva lavori, senza essere mai scoperto».
Un altro caso difficile?
«Sono riuscito ad identificare due prostitute uccise in provincia di Venezia, i cui corpi erano semi scheletrizzati».
È stato l'unico medico legale della Polizia Scientifica del Triveneto. Si ricorda una caso che lo ha visto protagonista all'inizio della carriera?
«Ricordo un fatto accaduto in provincia di Rovigo: una donna accoltellata alla gola, tutto lasciava intendere che fosse stato il figlio ad ammazzarla. Dopo un accurato esame della scena del crimine, mi convinsi che si trattasse di un suicidio, tra lo scetticismo generale. Il figlio, fermato con l'accusa di omicidio, venne rilasciato grazie al mio esame autoptico: era stato un suicidio».
Lei non ha mai trascurato tutte le altre attività di medico di polizia. Adesso partecipa anche alla prevenzioni delle stragi del sabato sera.
«Dall'inizio della mia carriera la disponibilità è sempre stata totale, non mi sono mai limitato all'orario d'ufficio, certe volte arrivavo sul luogo di un fatto di sangue prima dell'ambulanza».
Ora fa prevenzione?
«Partecipo ai servizi di prevenzione della Stradale: se per controllare l'abuso di alcol basta l'etilometro, per l'uso di droga è necessaria la presenza di un medico che valuti lo stato di alterazione psico-fisica del conducente, anche con strumenti tecnologicamente avanzati».
Per la sua attività professionale e accademica ha ricevuto numerosi attestazioni dall'autorità giudiziaria e in ambito universitario.
«Colgo l'occasione per ringraziare della fiducia accordatami dall'autorità giudiziaria, dell'aiuto professionale dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Padova. Ma, soprattutto, ringrazio i colleghi e il personale della Polizia di Stato per la collaborazione e la disponibilità dimostrate in tutti questi anni».
Lino Lava
Ultimo aggiornamento: 1 Aprile, 08:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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