VENEZIA - «Ero a Buenos Aires», dice sicuro Antonio "Mario" Pandolfo, nome di spicco della "mala del Brenta" tirato in ballo per la rapina del 7 aprile 1989 alla gioielleria Vanotti di Padova. «Sono diventato il parafulmine per tutti. Mi tirano in ballo per tutto, una rapina? Pandolfo, un omicidio? Pandolfo, una minaccia? Pandolfo. Neanche in sette vite avrei potuto combinarne così tante...».
E per la rapina Vanotti, Mario Pandolfo dice che basta dare un occhio al passaporto che gli fu sequestrato a suo tempo, quando fu estradato dall'Argentina. «Nel 1989 ero a Buenos Aires e, se non basta il mio passaporto, che chiedano a Felice Maniero se è vero o no che mi ha telefonato due volte mentre mi trovavo lì.
LO STUPORE
Pandolfo si stupisce, poi, che dopo trent'anni si vada a riaprire il caso di una rapina, che comunque è andata in prescrizione, basandosi sulla testimonianza di uno come Galletto che recupera la memoria di certi fatti a distanza di trent'anni. «E naturalmente accusa il sottoscritto. Per una rapina che non posso aver commesso, primo perché ero in Argentina e poi perché non sono così stupido da fare un colpo a due passi da casa, dove tutti mi conoscono».
E dunque l'impressione che ha Mario Pandolfo è che lo prendano in mezzo ogni volta che possono, ma almeno in questo caso dice di essere assolutamente tranquillo e si chiede se Felice Maniero possa averlo accusato di una rapina ben sapendo che non poteva averla fatta. Ma forse Pandolfo sottovaluta il fatto che Galletto e Maniero continuano ad aver paura di lui: «Ma nemmeno li guardo se li trovo per strada, l'ho detto e lo ridico. Poi con Maniero non ho da questionare perché non mi ha accusato di nulla. Perché dovrei avercela con lui?».
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