Donne sotto attacco, "La lezione" di Franzoso
«Bisogna rieducare gli uomini e i media»

Venerdì 15 Aprile 2022 di Chiara Pavan
Nuovo romanzo per Marco Franzoso

L’INTERVISTA

Un uomo e una donna chiusi in una stanza. Due nemici intrappolati in uno spazio, senza via d’uscita. Lui è un predatore, «un rettile pronto a colpire», lei è la sua vittima, decisa a sopravvivere al suo stalker. E per sopravvivere, lei è disposta a tutto. Anche a trasformarsi in carnefice. È un viaggio all’inferno “La lezione”, il nuovo romanzo di Marco Franzoso (Mondadori, 21 euro): un duello all’ultimo respiro tra cacciatore e preda, tra un uomo misterioso e ambiguo, Walder, condannato per violenza e abuso, e una donna come tante, Elisabetta, avvocatessa che ha incrociato il suo persecutore molti anni prima in tribunale. «Ho cercato di dare ascolto a una donna cui nessuno presta ascolto». Lo scrittore padovano, autore de “Il bambino indaco” portato al cinema da Saverio Costanzo, si affida al thriller per inabissarsi nella follia che si cela dietro la vita di tutti i giorni.

Per capire cosa significhi essere braccati, seguiti, intimiditi, per comprendere che vuol dire avere a che fare con uno stalker e provare a resistergli. In fondo, cosa siamo in grado di fare per sopravvivere?

Come è arrivato a questa storia?

«L’avevo in mente da tanto tempo, immaginavo due personaggi chiusi in una stanza. Senza uscita. Sono entrato in quella stanza per guardarli, ascoltarli. Mentre scrivevo, li pensavo come un unico essere. Lui è il lato oscuro. Lei il desiderio di una vita normale. Lui arriva e le mostra ciò che non vorrebbe vedere. C’è sempre qualcosa che bolle, a prescindere da noi».

Per la prima volta affronta il thriller.

«Avevo voglia di scrivere un romanzo che incollasse il lettore alla pagina. Ma volevo anche mettermi in gioco come scrittore. Per misurarmi con rovesciamenti, cambi di prospettiva, dialoghi serrati. Per mostrare da vicino cosa può vivere una donna che si ritrova braccata e sola. E per capire cosa nascondiamo dietro la facciata della normalità. È un romanzo dalla parte delle donne».

Le donne, come dice la sua protagonista, devono rispondere sempre alle aspettative dell’altro.

«Sempre: nella vita sociale, personale, affettiva, nel lavoro. E poi la solitudine. Una situazione spesso tragica, da tragedia greca. Quante donne hanno subito forme di prevaricazione in misura più o meno violenta? Con compagni di scuola, colleghi, mariti, fidanzati? Eppure la giustizia non è strutturata per rispondere. Elisabetta non ha via d’uscita. Fa quello che le resta da fare, volente o nolente».

La sua protagonista si scopre diversa a un certo punto.

«Scopre la propria verità. Lui è il mostro, ma l’ha capita, le indica la verità dietro le apparenze. Elisabetta fa un viaggio controvoglia: la vediamo all’inizio in situazioni di instabilità, con il compagno, col lavoro, nella vita. Non è felice. Ma è ingabbiata in questo mondo di convenzioni sociali. Walder le dà una sferzata. E lei è costretta a prendere la sua vita in mano, per scoprire chi è davvero».

Le mostra il suo lato oscuro.

«Le svela quello che c’è sotto la patina della nostra epoca così “social”, dove dobbiamo essere sempre prestanti, sorridenti, dove dobbiamo sempre metterci in mostra. Ma cosa c’è davvero dietro questi sorrisi?».

Eppure Elisabetta sente di perdere la propria umanità.

«Per questo dico che non c’è via d’uscita. Se una donna si ribella alle prevaricazioni sembra una pazza, o non viene creduta. Oppure scatena reazioni violente, come sottolineano le cronache. Dietro la normalità si cela il male. Il punto è scoprirlo».

La letteratura aiuta.

«Mi piace l’idea della letteratura che metta il dito nella piaga, nelle nostre voragini sociali. Questo libro lo vivo anche come un ponte, per parlare di uomini. Per risolvere questo problema bisogna rieducare l’uomo. Rieducare anche le narrazioni dei media, il sistema, la parte maschile».

Il thriller ha un ritmo serrato. Adatto a un film?

«Anche come serie. Mentre lo scrivevo pensavo proprio a un tempo più dilatato: ci sono tante scene che si possono fermare, approfondire».

Il romanzo riflette anche su cosa significhi tenere in mano la vita di un altro.

«I libri pongono domande. È giusto difendersi da soli? Puoi uccidere per sopravvivere? Serve rispondere con la violenza alla violenza? Per questo dico che non c’è via d’uscita, il che è ancora più tragico. Sennò non ci sarebbero tutte queste donne che vengono uccise o subiscono violenze irreparabili. Colpevolizzate perché vestite poco, o ubriache, o perché ammiccano, o dicono di no, o semplicemente ribadiscono “io esisto non ci sei solo tu”. E vedere come vengono trattati questi problemi anche nei media, per me è molto doloroso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci