'Ndrangheta in Veneto, l'imprenditore vessato ora vive in una roulotte

Mercoledì 13 Febbraio 2019 di Davide Tamiello
'Ndrangheta in Veneto, l'imprenditore vessato ora vive in una roulotte

 Il nome di Domenico Multari, 58enne veronese di Zimella, ma con radici che affondano nella Calabria di Cutro, è da anni nel mirino dell'antimafia. Gheddafi, come viene soprannominato per la sua vaga somiglianza all'ex leader libico, nella vita ha fatto l'imprenditore edile e ha gestito un ristorante-pizzeria nella sua Zimella. Paravento professionale del suo vero volto da boss: elemento di spicco del clan Nicolino Grande Aracri, accostato in passato anche alla cosca di Antonio Dragone, boss 'ndranghetista assassinato il 10 maggio 2005 proprio a Cutro. Multari è il vertice da cui partono i tre filoni di inchiesta della procura distrettuale antimafia di Venezia, coordinata dal pm Paola Tonini e dagli investigatori del Ros di Padova. L'indagine ha portato a 7 arresti, 15 indagati e 20 perquisizioni nelle province di Verona, Venezia, Vicenza, Treviso, Ancona, Genova e Crotone. In carcere, oltre a Domenico, sono finiti i suoi fratelli Fortunato (51, anche lui di Zimella) e Carmine, 55, di Lonigo (Vicenza), l'imprenditore di Meolo (Venezia) Francesco Crosera, 53 anni, e Dante Attilio Mancuso, 63 anni, calabrese di Isola Capo Rizzuto (Crotone). Domiciliari per il 24enne, Antonio Multari, figlio di Domenico e anche lui residente a Zimella, e il calabrese di Cutro Mario Falbo, 47 anni. TRE FILONI I filoni di inchiesta, appunto, sono tre: il primo è quello che ha visto, tra le vittime, un imprenditore padovano e un suo collega veronese. Uno attivo nella forniture di infissi, un altro nei trasporti. Multari e i suoi si erano inseriti negli affari delle loro imprese, prima in amicizia, poi come colleghi, infine come estortori.

Poco a poco, avevano svuotato le loro aziende, riducendoli sul lastrico: l'imprenditore padovano, ora, è costretto a vivere in una roulotte, mentre all'altro non è rimasto praticamente nulla.

Il secondo filone è quello che vede coinvolto il veneziano Crosera, magnate degli yacht di lusso. Per risolvere un contenzioso civile su una barca venduta a un imprenditore friulano, aveva pensato bene di eliminare le prove. Aveva assoldato, tramite Multari, Falbo e Mancuso per dare alle fiamme quello yacht (Terry, da qui il nome dell'operazione dei Ros) ormeggiato al porto di Alghero in Sardegna prima di una visita dei periti del tribunale. E anche la sorella e socia in affari Rosalma è tra gli indagati. Il terzo troncone di indagine, infine, è quello che più identifica il metodo mafioso di Domenico Multari. Il 58enne, aveva subito il sequestro di alcuni beni per delle vicende passate. Era riuscito, però, ad impedire la procedura di vendita all'asta di due case, utilizzando contratti simulati di vendita a prestanome. Inoltre, con minacce e violenze a pubblici ufficiali, aveva impedito loro di accedere alle abitazioni una volta stabilita la vendita, facendo così desistere acquirenti e farli comprare a prezzi vantaggiosi ai suoi stessi prestanome. «ORGANIZZAZIONE RADICATA» «Multari - spiega il comandante del Ros di Padova, il tenente colonnello Elvio Labagnara - vantava apertamente il suo curriculum criminale. L'uso delle armi e della violenza per intimidire prima gli imprenditori, poi gli ufficiali. Con quest'operazione abbiamo disarticolato un'organizzazione che da decenni opprimeva il territorio veronese». «Noi abbiamo contestato il metodo mafioso - aggiunge il procuratore di Venezia Bruno Cherchi - non vi sono dubbi che si tratti di Ndrangheta, queste attività delittuose sono tipiche della criminalità organizzata. In Veneto la mafia agisce in questo modo: penetra nel tessuto economico per poi prendere la sua dimensione criminale».

Ultimo aggiornamento: 17:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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