​«Vi racconto cos'è il long Covid: da 7 mesi sono dentro il labirinto»

Domenica 25 Ottobre 2020 di Angela Pederiva
«Vi racconto cos'è il long Covid: da 7 mesi sono dentro il labirinto»

Fra le poche certezze acquisite in otto mesi di emergenza sanitaria, sappiamo che il Coronavirus non è solo bianco e nero. C’è chi fortunatamente se la cava in fretta, con lievi sintomi o perfino nessuno; e c’è chi purtroppo non ce la fa a sopravvivere, stroncato da complicanze e comorbidità. Ma fra i due estremi c’è anche un’ampia zona grigia, in cui i malati riescono magari a negativizzarsi in tempi relativamente brevi, ma poi continuano ad accusare sintomi debilitanti addirittura per mesi. È la storia di Elisa Rando, che ormai dalla scorsa primavera combatte contro quel fenomeno clinico, ancora in parte oscuro, che gli esperti chiamano “long Covid”.

Long Covid

Ma che cos'è il long Covid? Elisa Rando, 43enne di Este, lo descrive così: «Un labirinto in cui continuo a peregrinare senza vedere l'uscita.

E senza nemmeno sapere se mai la troverò». Gli studi scientifici sul tema sono tuttora pochi e riguardano campioni ristretti. Secondo una ricerca della Fondazione Policlinico Gemelli e dell'Università Cattolica, condotta su 143 pazienti, a distanza di oltre due mesi dalla diagnosi l'87% riferiva la persistenza di almeno un disturbo. Un rapporto del British National Institute for Health Research, dopo aver indagato in particolare 14 casi, ha ipotizzato quattro filoni: un danno permanente ad alcuni organi colpiti dall'infezione; la sindrome da post terapia intensiva; una sindrome da fatica post virale; la persistenza di veri e propri sintomi da Covid. Di sicuro sono comunque migliaia le persone riunite in gruppi social di autosostegno, tra cui l'italiano Noi che il Covid lo abbiamo sconfitto (ma evidentemente non proprio del tutto), di cui fa parte anche la padovana.

Fino a sette mesi fa la sua vita era tranquillamente scandita da lavoro (commerciale estero, quattro lingue) e famiglia (un marito, un figlio), «senza nessuna patologia pregressa, checché ne dicano i negazionisti». Il virus è piombato nella sua esistenza il 25 marzo, con l'accertamento di una positività nel reparto di Urologia dell'ospedale di Rovigo, dov'era ricoverato suo padre a cui lei faceva assistenza. «Mi sono immediatamente isolata in casa racconta Elisa e due giorni dopo mio papà è risultato contagiato. Nel frattempo è stato dichiarato il focolaio ospedaliero, perché lo erano anche altri sei pazienti e due operatori. Sono sicura che la trasmissione è partita da uno di questi, che si ostinava a non portare la mascherina, malgrado la Regione le avesse fornite ai sanitari. Ricordo di avergliene offerta una delle mie, sentendomi però rispondere: No, mi dà fastidio. Troppa superficialità, la stessa che vedo adesso in quelli convinti che a loro non toccherà mai».


Fame d'aria

A lei è toccato, così come ai due fratelli e alla compagna del padre, frattanto trasferito al Covid Hospital di Trecenta. «I miei parenti sono stati asintomatici, anche mio papà di 83 anni che poi è mancato per un'insufficienza renale acuta spiega la donna mentre io ho iniziato a sentirmi male il 30 marzo. Febbre alta, dolori diffusi, fortissima emicrania. Avevo la sensazione che mi fosse passato sopra un camion». Il 3 aprile il tampone ha dato esito positivo, l'indomani è scoppiata la prima crisi dispnoica, poi sono seguiti cinque giorni di letargia e coliche. La fame d'aria perdurava, fra «coltellate fortissime a livello delle scapole e del petto», finché l'ambulanza l'ha portata al Pronto soccorso di Schiavonia. «La tac ai miei polmoni si è illuminata come un lampadario. Del resto era venerdì 17 di un anno bisestile...», ricorda Elisa, con l'ironia e la forza a cui si è aggrappata per tutta la terapia domiciliare, fra antimalarici e antibiotici, fino al doppio tampone negativo del 25 e 27 aprile e alla visita pneumologica che il 21 maggio ha refertato la «risoluzione completa della polmonite da Covid».


Effetti post Covid

Tuttavia la negativizzazione virologica non ha significato una guarigione clinica. La lista dei postumi contro cui la 43enne continua a lottare è lunga e misteriosa: «Il più grave riguarda la vista. Ho perso nove diottrie a sinistra, ma nessuna lente è in grado di correggere questo difetto perché è causato da un problema neurologico, tanto che lunedì mi sottoporrò a un nuovo esame nel tentativo di capire dove sta l'inghippo nel collegamento tra il cervello e l'occhio. Ma in questi mesi me ne sono capitate di ogni: la perdita dei capelli, le eruzioni cutanee che vanno e vengono, il dolore costante al petto, la stanchezza cronica che mi attanaglia fin dal mattino, il fiato corto anche senza particolari sforzi, il minimo raffreddore che mi mette ko per dieci giorni, l'afasia per cui ho in mente una parola ma non riesco a pronunciarla... L'ambulatorio pneumologico post-Covid dell'Ulss 6 Euganea mi seguirà per 6-12 mesi, ma serve un approccio multidisciplinare ancora tutto da studiare, perché inevitabilmente i medici stanno imparando insieme a noi». 

Dopo aver ascoltato i racconti «di altri malati in Lombardia», Elisa confida: «Sono felice di stare in Veneto, dove non mi sono mai sentita abbandonata. Ma qui non c'è un'esenzione per noi pazienti Covid, finora ho speso mille euro solo di ticket. Spero solo che le persone capiscano l'importanza di indossare le mascherine e igienizzarsi le mani. E, dal momento che sono una delle tose de Zaia, mi rivolgo al governatore. Gli ho mandato un'email, per spiegargli tutta la situazione, ma non ho ricevuto risposta: potrebbe leggerla?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci