PADOVA - Nel centenario della morte il regista Nelo Risi gli dedicò il documentario Vita breve ed eroica di Ippolito Nievo: difficile pensare ad un titolo più appropriato per raccontare la vita di un padovano che fu un grande scrittore, un appassionato ufficiale garibaldino e che per giunta ebbe una fine che tuttora è avvolta dal mistero.
Ippolito Nievo era nato a Padova il 30 Novembre 1831, nel palazzo Mocenigo Querini, costruito su una basilica paleocristiana, dove nel 1708 era morto Ferdinando Carlo di Gonzaga-Nevers, ultimo duca di Mantova. È figlio di un magistrato, Antonio, e di Adele Marin, figlia della contessa di Colloredo-Mels e di un patrizio veneto, il nobiluomo Carlo Marin, che assisté all'ultima seduta del Maggior Consiglio.
IMPAZIENTE
Ippolito è irrequieto fin da piccolo: lascerà il collegio a dieci anni e, a diciassette, parteciperà all'insurrezione di Mantova, dove tutta la famiglia si era riunita.
COLLOREDO
Nel nostro eroe infatti, dopo aver passato due anni nel castello di Colloredo a scrivere Le confessioni di un italiano, si era risvegliata la passione per la politica: prima scrive due saggi, Venezia e la libertà d'Italia e Frammento sulla Rivoluzione Nazionale, poi si arruola nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, infine eccolo partire coi Mille. Fa una rapida carriera, diventa colonnello e poi intendente di prima classe, infine vice intendente generale dell'Esercito Meridionale in Sicilia. Tiene un diario della spedizione e soprattutto continua a corrispondere con Bice. Nulla e nessuno, pur nel pieno dell'avventura garibaldina di Ippolito, poteva fermare le lettere in partenza e in arrivo.
L'«ERCOLE»
Rapida la carriera, improvvisa e misteriosa la fine di Ippolito Nievo. Incaricato di raccogliere i documenti dell'amministrazione garibaldina e portarli a Torino, la mattina del 4 marzo 1861, Ippolito si imbarca sul piroscafo a ruote Ercole diretto a Napoli. Viaggia con un carico importante e imbarazzante: in una cassa ben chiusa Nievo trasporta lettere, ricevute, le prove della gestione del patrimonio garibaldino e del danaro sequestrato nelle banche siciliane. C'è di più: ci sarebbero state anche le prove del finanziamento della massoneria inglese di 10 mila piastre turche in oro: una bella cifra, oggi circa 15 milioni di euro. Quando tutto ciò fosse arrivato a Torino, si sarebbe scatenata una bagarre tra cavouriani che non ne potevano più di Garibaldi e la sinistra che lo sosteneva, ma la cassa non arrivò mai a Torino. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo il vapore affondò e nulla fu mai più ritrovato: né relitti, né corpi. Nulla di nulla. La povera Bice cadde in una luttuosa depressione da cui non uscì fino alla sua morte: a lei Nievo aveva affidato il manoscritto delle Confessioni, lei e la sorella Caterina si erano fuse nel personaggio della Pisana, lei aveva ricevuto l'ultima lettera dello scrittore.
Cosa successe al vapore Ercole nessuno lo sa. John Pender Paynter, che comandava il vascello HMS Exmouth della Royal Navy partito dopo l'Ercole, avvistò un relitto a 140 miglia da Palermo. Lo scrittore Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, si calò con il batiscafo Trieste al largo di punta Campanella assieme ad Auguste Picard e a 240 metri di profondità trovò un relitto di una nave a vapore; recentemente un sub ha trovato il relitto di una caldaia a vapore proprio a 140 miglia da Palermo. Saranno dell'Ercole questi relitti? Nessuno lo sa. Come mai è affondato? Anche qui, silenzio. Libri, congetture, articoli su varie testate sono apparsi con ogni tipo di ipotesi, dal banale incidente alla congiura. A noi, però, piace ricordare Ippolito Nievo, per la sua straordinaria cavalcata letteraria nell'800 delle rivoluzioni e delle trasformazioni italiane: Le confessioni di un Italiano, uscito postumo nel 1867 presso le Monnier col titolo Le confessioni di un ottuagenario. Un libro che soprattutto racconta quello che fu il trauma di una generazione non solo di nobili ed intellettuali ma anche della gente comune: il doloroso, forzato passaggio da veneziani ad italiani, terribile per molti, entusiasmante per molti altri. Per tantissimi veneziani e veneti, una ferita che ancora oggi sanguina.