L'imprenditore indagato: «Così la 'ndrangheta mi ha preso l'azienda e la vita»

Giovedì 5 Dicembre 2019 di Marina Lucchin
Luca De Zanetti. «Io, imprenditore indagato, così sono finito tra i mafiosi»
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PADOVA Per gli inquirenti, il padovano 51enne Luca De Zanetti era un uomo della cosca crotonese guidata, in Veneto, dai fratelli Sergio e Michele Bolognino. E questo è il motivo per cui l’imprenditore è stato indagato a piede libero per estorsione aggravata dai metodi mafiosi. Nelle quasi 200 pagine dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari, firmato dal procuratore Paola Tonini della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, si leggono intercettazioni che mettono nero su bianco le pesanti minacce che aveva rivolto ad altri imprenditori e professionisti. «Ti brucio la casa se non mi paghi». Per il 51enne, però, si trattava di «parole dette in un momento di follia di un uomo che stava perdendo tutto».
 
E precisa: «Ho fatto degli sbagli, ma io, coi mafiosi, non c’entro nulla, hanno cercato anche di buttarmi giù dal balcone. Sono una vittima non un carnefice». Così De Zanetti ha deciso di raccontare cos’è successo quando la ‘Ndrangheta è entrata nella sua azienda e nella sua vita. 

Cos’è cambiato per lei quando ha conosciuto i Bolognino?
«Ora io non ho più nulla. Zero. Prima avevo tutto. Lavoro, famiglia, soldi. Da quando è iniziato tutto ho buttato via la mia vita, più di un milione di euro e sono fallite due mie società per colpa loro. Io non mi sono arricchito. Non compaio nelle fatturazioni false. Se ero un uomo loro, perché non dovrei averci guadagnato qualcosa anch’io?».

Chi le ha fatto conoscere i Bolognino?
«Stefano Venturin (dalla cui denuncia sono partite le indagini, ndr)».

E come ha conosciuto Venturin?
«Nell’estate 2010 avevo una società di charter, imbarcazione a noleggio. È arrivato tramite agenzia per fare dei giri in barca. Prima non l’avevo mai visto». 

Come siete entrati in affari?
«Aveva detto al mio marinaio che voleva fare un contratto tagliando fuori l’agenzia e che voleva un prezzo buono. Ci siamo venuti incontro. Per un noleggio ad agosto mi ha pagato in anticipo, per il secondo viaggio mi ha lasciato un assegno da 15mila euro con data ottobre. Assegno che non ho mai potuto incassare e che è finito agli atti». 

E poi?
«Poi mi ha proposto la vendita di un frantoio per l’edilizia. Ma dietro c’era un giro strano con un leasing. Ho rifiutato. E dopo una ventina di giorni mi ha proposto di entrare in affari con lui. Aveva un’azienda in difficoltà, ma con buoni contratti. Io ci avrei messo i soldi perché era un buon affare e, se le cose andavano bene, gli avrei dato una percentuale. Dopo essermi informato, gli ho promesso il 50% se tutto fosse andato come doveva. A febbraio 2011 abbiamo iniziato un affitto del ramo d’azienda e nasce la Sae D Group. Ho dato 6-7 immobili in garanzia al commissario e poi 400-500mila euro di firme personali mie e della mia famiglia in questa società. Nel marzo 2012, visto che le cose andavano bene, ho mantenuto a Venturin la mia promessa e gli ho ceduto la metà delle quote». 

Cos’è cambiato?
«Ad agosto 2012 vedo tra le carte dell’azienda che ci sono contratti con professionisti o rappresentanti con cifre folli, anche da 100mila euro. Vengo a sapere che erano amici di Venturin e che si trattava di fatture gonfiare o prestazioni inesistenti. Inoltre usava la cara di credito aziendale per viaggi di famiglia. Gli ho detto: o io ti liquido e tu esci, o mi tolgo e mi paghi e poi fai quel che vuoi». 

E com’è finita?
«È finita che una sera nel mio ufficio di Vigonza, mi sono trovato davanti Venturin, Sergio Bolognino e Antonio Genesio Mangone (gli ultimi due ai vertici dell’organizzazione, ndr). Mi dicono che Venturin ha un debito con loro e per questo si sarebbero presi il suo 50%. E poi che io dovevo cedere il 10% delle quote mie». 

Sapeva chi erano?
«Sì, Venturin me li aveva portati in casa. Avevo capito cosa facevano, ma con me fino a quel momento non avevano contatti particolari». 

Ha ceduto quel 10%?
«Prima ho detto a Venturin che era un uomo di m** perché mi aveva portato in casa questa gente. In un momento di follia gli ho anche tirato una sedia addosso. Bolognino a quel punto ha picchiato mio fratello, che era lì con me. Mi hanno detto: “O mi dai il 10% o faccio fuori te e tutta la tua famiglia”. Mi hanno anche preso e portato sul poggiolo minacciando di buttarmi giù se non lo facevo. Il giorno dopo ho firmato la cessione. Ma dopo ho fatto denuncia in procura e mi sono presentato con mio fratello anche in Finanza a Mirano». 

E cosa ha detto?
«Che dentro alla Sae D Gruop c’era la ‘Ndrangheta. Mi hanno risposto che è gente pericolosa, di stare attenti. Ma non ho capito perché l’indagine non sia partita in quel momento». 

Poi è tornato in possesso di quelle quote?
«Sì, in ottobre 2012 arriva di nuovo Bolognino. E mi dice che mi ridà il mio 10% perchè Venturin è un pezzo di m***. Diceva che gli aveva rubato 100mila euro e che l’avevano picchiato. È in quel momento che Venturin va a fare denuncia e parte l’indagine». 

Nelle carte si legge che lei ha minacciato, tra gli altri, tale Marco Coda, che amministrava la Sae D Group.
«Sicuramente l’ho fatto. Era un momento di disgrazia, ero finito. Ma che abbia minacciato con metodi mafiosi, non esiste. Tutto quello che si legge nelle intercettazioni è lo sfogo di un disperato». 

Li ha più visti dopo?
«No, da aprile 2013 mai più. Ho solo pagato 500mila euro dei buchi che avevano fatto e distrutto la mia famiglia». 

Perché?
«Perchè quando mancano i soldi le famiglie si distruggono. Abbiamo rotto i rapporti».

Cosa le hanno detto dopo la chiusura delle indagini i suoi familiari?
«Di tutto. Ma ora vediamo di uscire da questa storia che è ormai un incubo. Ha distrutto tutto, posso solo uscirne. L’altro giorno ero in macchina con mio figlio, era un suo amico che gli chiedeva se suo papà era in carcere».

Se dovesse tornare indietro, cosa non rifarebbe?
«La società con Venturin». 
Marina Lucchin

Ultimo aggiornamento: 20:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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