PADOVA - «Dobbiamo ringraziare Federica Pellegrini che ha sdoganato l’accento veneto, antitelevisivo». È Horea Sas a dirlo, alla sua maniera, tra ironia e iperrealismo, ora che è tra i più noti stand up comedian. Classe 1993 e rumeno di nascita, racconta la sua vita a Padova nei teatri, nei social e in tv.
Ma quanto c’è di vero?
«Tutto. Si esagerano un po’ le quantità, ma racconto davvero la mia vita. Sono arrivato a Milano a tre anni coi miei genitori, che dopo poco hanno cercato una dimensione più provinciale, a Carpanè nel vicentino. Io ho scelto, però, Padova, dove abito da 12 anni. Finite le superiori, mi sono iscritto qui a Medicina e non l’ho più lasciata. Mi sono affezionato alle persone, agli amici, alla città».
Sue fonti di ispirazione?
«Continua. Quello che racconto nei monologhi è basato su esperienze reali, non ho una creatività astratta. Osservo le situazioni che capitano e cerco il lato comico. Esagero qualcosa, accresco le dimensioni per far ridere la gente, ma è tutto reale».
Dalla scuola ai mille lavori, come quello all’Idea, il negozio di mobili al quale ha storpiato il nome: ogni situazione le ha consentito di osservare la società?
«Sono stato barista, cameriere, commesso, promoter: professioni intraprese anche durante gli studi, per poi capire che la mia vera vocazione era far ridere le persone».
Quando se ne è accorto?
«Fin da piccolo. Far ridere era la mia arma. Anche a scuola: ero bravo, ma non sempre ubbidiente. Così mi sono reso conto che, pur disturbando o dicendo commenti inopportuni, riuscivo sempre a cavarmela facendo poi ridere il professore. Far ridere gli adulti funzionava: si arrabbiavano meno e io ne uscivo bene, da giullare».
Anche da grande?
«Persino quando parlo seriamente ai miei amici di problemi concreti si mettono a ridere. Forse ridicolizzo involontariamente le situazioni, eppure parlo di me stesso: ho capito che questa è la mia cifra comica».
Così, nel 2019, ha pensato di darsi alla stand-up comedy.
«Ero in crisi con l’università. Facevo qualsiasi attività random per darmi un senso: corsi di cucina, yoga, volontariato. Pensavo di scrivere un romanzo ironico autobiografico, ma ho realizzato che quei monologhi sarebbero stati bene su un palco, alla maniera dei comici americani, e ci ho provato in un open mic al Teatro a l’Avogaria di Venezia, aprendo la serata per 7 minuti. Un esercizio non programmato, ma la risposta del pubblico è stata enorme. Poi ci sono stati anche dei bassi, ma intanto avevo capito cosa mi piacesse fare».
Le riesce bene anche a Propaganda Live su La7. Come ci è arrivato?
«Lo scorso settembre mi è stato consegnato il Premio Satira a Forte dei Marmi, nella categoria Stand up. Ho conosciuto Diego Bianchi, premiato per il programma tv, che mi ha chiesto di vedere qualche mio pezzo. Pochi giorni dopo mi hanno contattato gli autori di Propaganda per andare in puntata».
Su quel palco ci sono spesso Andrea Pennacchi e Anna Gaia Marchioro. I padovani fanno ridere?
«Certo che sì! I veneti stanno avendo una ribalta nell’intrattenimento. Da Federica Pellegrini, appunto, a Tony Boy nel rap, fino al presidente Zaia che risulta mainstream, trasversale nella comunicazione».
Molti comici accusano di non poter dire più niente per via del politically correct, a meno che non si faccia parte delle minoranze di cui si ride.
«È quasi un vantaggio per me appartenere ad un gruppo che ha subìto delle discriminazioni: ci posso scherzare sopra e forse mi vengono perdonate più cose, persino le battute sui meridionali. Qualcuno si offenderà sempre. Anche molti rumeni se la prendono per le mie battute, ma ci sta: serve anche a noi per capire se superiamo i limiti».
La tv è diversa rispetto al teatro?
«Molto. Lì sono più dritto. A Propaganda sono ospite di un programma con un suo tono, non è il mio spettacolo: mi commissionano pezzi sull’attualità, come qualche settimana fa con le elezioni in Romania, e mi piace come esercizio di scrittura».
Ora è approdato anche al cinema, in un film di Francesca Archibugi.
«Sono stato fortunatissimo. So quanto studiano gli attori, quindi mi sono approcciato con grande umiltà, ma mi piacerebbe ci fossero altre occasioni. Intanto, continuo a scrivere e ad imparare come si fa il comico. I più leggendari lo fanno da decadi: serve tanta esperienza e io mi sento all’inizio».
Può dire essere questo il suo lavoro?
«Mi divido.